Incognite sul futuro del teatro

Sale chiuse, permane l’incertezza. Piparo (Sistina): rischi di contagio bassi. Gleijeses (Quirino): la gente ha voglia di cultura. Non mancano le iniziative di solidarietà

È passato oltre un mese e mezzo dal dpcm che il 24 ottobre sancì la chiusura di teatri, cinema e spettacoli, prorogata poi dal successivo decreto di inizio dicembre per contrastare i contagi da Covid-19. Una chiusura che in realtà si trascina quasi ininterrottamente dal primo lockdown di marzo e che impone di rivedere – non senza pessimismo – il futuro del mondo teatrale. «Continuiamo a restare chiusi e quindi in grande affanno, ma purtroppo non ci sono alternative», è il commento di Massimo Romeo Piparo, presidente dell’Atip, l’Associazione teatri italiani privati, e direttore artistico del Teatro Sistina. Molte strutture hanno cercato di ottenere i riconoscimenti di aziende e imprese culturali per ovviare ai problemi economici «e devo dire – sottolinea Piparo – che il governo sta iniziando a rispondere e a mettere a fuoco le nostre richieste di sostegno. Quindi si inizia a muovere qualcosa».

La preoccupazione è tanta anche nelle parole di Geppy Gleijeses, presidente onorario e direttore artistico del Teatro Quirino. «La situazione è pesante e sta affliggendo le grosse strutture ma anche le piccole realtà che veicolano cultura. Basti pensare – spiega – che è tutto fermo, dai semplici oratori parrocchiali alle sale storiche e famose». Una preoccupazione mista all’incredulità ormai diffusa «su chiusure prive di senso – denuncia il direttore del Quirino – perché è ormai assodato che nelle sale il rischio di contagio è nettamente basso». Tra le richieste accolte dalle istituzioni, seppur dopo molti mesi, da registrare l’estensione della cassa integrazione «a un settore – rileva Piparo – che prima non ne beneficiava, soprattutto per aziende piccole con pochi dipendenti». Una parte di investimenti è dunque stata messa in campo, «anche se questi soldi sono serviti solo a far arrivare indenni i teatri fino a oggi».

Per quanto riguarda il Sistina, la magia della sala non è stata snaturata o sostituita dallo streaming ma il direttore Piparo nelle ultime settimane ha riconvertito lo spazio in studio televisivo, con l’aiuto di RaiTre. «Abbiamo registrato quattro puntate con Massimo Ranieri e altre quattro dedicate a raccontare il mondo dello spettacolo dal vivo», racconta. Anche questo un piccolo passo per non far sparire il teatro dalla vita degli italiani. Stesso discorso per il Quirino, così come per molte realtà romane. L’assenza di telecamere e strutture televisive, ma soprattutto la voglia di non snaturare ciò che il teatro trasmette, hanno portato molte strutture a non adottare lo streaming tout court. «Vorrebbe dire – spiega Geppy Gleijeses – far venir meno la magia della prosa e non poter rompere la quarta parete ». Le strutture del Quirino, invece, sono state riadattate per la solidarietà. «Abbiamo offerto per un mese un pasto a cento lavoratori dello spettacolo in difficoltà, grazie all’uso del ristorante interno». Un’iniziativa affiancata da uno sprazzo di ripartenza tra settembre e ottobre «con l’apertura – ricorda Gleijeses – della Galleria Sciarra, dove abbiamo tenuto ogni sabato sera spettacoli con quartetti d’archi, duetti di tenori e soprano e concerti di jazz per un massimo di cento persone. Ed è stata una prova – tiene a sottolineare – della voglia di cultura della gente».

Proprio il tema della ripartenza è però dibattuto. È vero, infatti, che «le tournée non sono state disdette e le compagnie non si sono tirate indietro per i prossimi mesi, tanto da sperare di riaprire a febbraio», spiega Gleijeses, ma è anche vero che la normalità potrebbe non essere così vicina come ci si augura. «Le chiusure potrebbero essere ancora molto lunghe -– commenta Piparo con rammarico – e prevedo, ahimè, che non riapriremo prima dell’estate se non in autunno, e sarà una riapertura per gradi». Questo, inoltre, potrebbe non essere l’unico pericolo perché, conclude non senza amarezza il direttore del Sistina, «il pubblico si sta abituando alla televisione e si rischia di perdere per sempre un’intera generazione di giovani».

14 dicembre 2020