In “Richard Jewell” messo a nudo il sistema dei media Usa

Nella pellicola in sala dal 16 gennaio, la regia di un Clint Eastwood ruvido, diretto, sempre dalla parte degli indifesi. Dei suoi film è difficile stancarsi

Le XXVI Olimpiadi estive si svolgono ad Atlanta dal 19 luglio al 4 agosto 1996. Lo svolgimento è funestato da un avvenimento che solo per caso non si trasforma in tragedia. Richard Jewell, uno degli addetti alla sicurezza, incappa in una drammatica disavventura: scopre la presenza di una bomba nella zona dell’Olympic Park e subito si attiva per far evacuare la zona. Sul momento tutti plaudono allo scampato pericolo e si mostrano contenti. Passa però solo qualche giorno, e la gioia diventa incubo. Richard viene messo sotto accusa e addirittura incolpato di aver in prima persona sistemato la bomba.

Da questo spunto autentico di cronaca prende il via Richard Jewell, il nuovo film di Clint Eastwood in sala dal 16 gennaio scorso. Tutto comincia con l’uscita dell’articolo “American Nightmare – The Ballad of Richard Jewell” di Marie Brenner, pubblicato su Vanity Fair nel febbraio 1977. Una vicenda vera che Eastwood ha recuperato dal mucchio frammentato e disperso della cronaca americana, evidentemente intuendo che in quel resoconto c’erano gli elementi per riportare a galla l’episodio, regalargli una valenza più ampia e quindi renderlo interessante per un pubblico internazionale. Del resto Eastwood in prima persona si è rivolto più volte ad articoli usciti sulla carta stampata: lo aveva fatto di recente per American Sniper (2015) e Sully (2016), diventati film ma partiti da un resoconto iniziale apparso sui giornali.

Del resto stiamo parlando di Clint Eastwood, decano del cinema hollywoodiano, che ha attraversato mezzo secolo di storia della produzione targata Usa; forse un predestinato, nato a San Francisco il 31 maggio 1930, esordiente davanti alla macchina da presa a partire dal 1955 con piccoli ruoli nemmeno accreditati, e poi capace di farsi largo nel complicato star system americano con sempre maggiore autorevolezza. Oggi la filmografia di Eastwood comprende 57 film girati come attore, ai quali se ne affiancano una quarantina come regista, ruolo intrapreso a partire dal 1971 e nel quale ha messo a frutto una crescente abilità narrativa unita a una capacità di gettare su fatti e persone sguardi sempre più intensi e problematici.

Da allora Eastwood ha fatto incetta dei premi più prestigiosi culminati negli Oscar per Gli spietati (1993) e per Milion Dollar Baby (2005). In vista ormai dei 90 anni (il prossimo 31 maggio), l’uomo non ancora sazio di cinema propone un nuovo tuffo nella storia e nei fatti che entrano nella pelle viva delle persone. Richard Jewell è un uomo qualunque che si sente chiamato a compiere un’azione coraggiosa senza chiedere niente in cambio, se non la consapevolezza del dovere compiuto. Ma le cose vanno diversamente, e Richard si trova a doversi difendere da colpe mai commesse.

Forse la vicenda del cittadino messo alle strette da mass media e opinione pubblica non è nuovissima ma è sempre efficace e suscita grande tensione emotiva e anche etica la capacità del regista di mettere l’individuo solo contro il resto della società e uscirne vincitore, sia pure a prezzo di grandi dolori. Sulla scia, del resto, dei grandi apologhi disegnati anni prima dal poetico e lucido Frank Capra. Eastwood è così, ruvido, diretto, sempre dalla parte degli indifesi. Dei suoi film è difficile stancarsi.

20 gennaio 2020