Una cella che ha come pareti i confini del mondo

Dal monastero di San Giuseppe le Carmelitane Teresiane rinnovano l’invito a «credere nell’amore del Signore»

Una grata fitta. Dietro, tanti volti sorridenti, lontani da quella tristezza e quel senso di vuoto che tante volte sembrano dominare il nostro tempo. È il monastero di San Giuseppe, delle Monache Carmelitane Teresiane, a via della Nocetta. Lì vivono 13 suore. Sono italiane, peruviane, nigeriane, brasiliane e rumene. Sui mali di oggi non hanno dubbi: si possono guarire «con l’amore, la tenerezza e la misericordia», dicono le monache. Ognuna di loro ha un cammino particolare verso la vocazione.

«Ho 49 anni e sono entrata a 20 anni, sono l’unica romana. Il giorno della mia cresima ho sentito forte il fuoco dello Spirito Santo. Sentivo una grande sete di Dio», racconta suor Maria Amata. «La vita monastica è un’orazione continua, che diventa come un respiro». Un respiro che si apre al mondo: «Ho una piccola scuola di preghiera per bambini, giovani e carcerati e con l’aiuto della tecnologia invio queste riflessioni in molte parti d’Italia». E sorride raccontando quel che le dicono i carcerati. «Anch’io vivo in cella, una cella, però, che mi connette col mondo». E aggiunge: «I carcerati cui mi rivolgo sono ragazzi con condanne pesanti. A loro dico di trasformare le celle in Paradiso e questo è possibile con l’aiuto del Signore. Come tu gli apri uno spiraglio, Lui ti inonda col suo amore impetuoso e ti rinnova». Come? «Bisogna parlare con il Signore e Lui si fa vivo, si fa presente e rischiara ogni volto: dalla tristezza alla gioia».  

Dietro le grate anche una giovanissima: è Clara, postulante, ha 25 anni ed è siciliana. «Tutto è avvenuto per caso. Ho sentito una voce forte dello Spirito nell’intimo». Guarda a quelli tra i suoi coetanei che si divertono con cocktail di droga o alcool. «Non li vedono come vizi ma  divertimenti. Solo che non danno gioia ma solo stordimento. Alla fine sono più tristi di prima.  Anche i mezzi di comunicazione – riflette – vengono usati male. La vera amicizia è nell’incontro “tu per tu” e non nel rapporto online che rappresenta una via di fuga: ci si nasconde dietro uno schermo».

«La bellezza della clausura è donarsi completamente al Signore», dice suor Maria Grazia, 35 anni, originaria del Brasile. Già consacrata, venuta in missione in Italia sente forte la chiamata alla clausura. «All’inizio ho fatto resistenza. Poi nel mio intimo ho sentito che Dio mi chiamava. Con le persone ci distraiamo, nella clausura siamo dedite solo alla preghiera». Accanto a queste giovani monache, anche altre consacrate da molto, come  suor Teresa Maria, di Palermo, in clausura da 44 anni «Ogni giorno diciamo un sì profondo. Dio ci ha creati per la gioia e a noi si dona. Sin quando non lo capiamo cerchiamo surrogati nelle cose, droghe, persone, andiamo ovunque a cercare, ma non saremo pieni e felici».

Suor Silvana, invece, è  sempre stata innamorata dall’amico Gesù. «Volevo scoprire questo amico. Fu il parroco ad accorgersi della mia vocazione ma ero scettica perché ero una bambina vivace. Facevo disperare la mia mamma». Suor Giovanna Teresa è passata dalle Missionarie della Carità di madre Teresa di Calcutta alla clausura del Carmelo. «Stare davanti al Signore, sin da bambina, mi dava gioia. Tra le braccia del Signore metto il dolore di chi soffre in ogni parte del mondo. Nel silenzio della preghiera si avverte che la cella non è un limite ma ha come pareti i confini del mondo, perché l’amore mette in relazione con il mondo e la potenza di Dio non ha confini».

Ascolta in silenzio, la priora, suor Maria Lucia. «Oggi viviamo un grande vuoto della spiritualità, una mancanza di fede. Chi ha fede vede Dio in tutto, anche nel dolore e nella sofferenza. Chi non ha fede cade nella disperazione», dice. Quali le richieste maggiori che arrivano al monastero? «Le persone chiedono di essere liberate dalla possessione diabolica. Non pensavo che il maligno avesse tanto potere sulle anime, sulle persone e sulla società. Rimango stupita. Il demonio è fortissimo». Come si vince? «Con la forza della preghiera, il digiuno e il sacrificio. Solo il Signore dà la forza. Se qualcuno non si accosta al Signore dobbiamo supplire noi con la nostra preghiera, offerta, emulazione che nessuno vede ma il Signore sa la grazia che noi otteniamo per loro». Quale il suo messaggio al nostro tempo? «Credere nell’amore del Signore. Lui ci ama infinitamente, non c’è amore umano che si uguaglia con il suo. L’amore umano è povero, infedele, misero, quello del Signore fedele ed eterno. Noi siamo infedeli ma Dio no».

5 aprile 2019