In Italia quasi triplicata la povertà assoluta

Negli ultimi 10 anni aumentata del 182 per cento. Lo rivela il nuovo rapporto di Caritas italiana “Povertà in attesa”. Pesano disoccupazione e bassa istruzione, ma anche solitudine e rotture familiari

Nonostante i «timidi segnali di ripresa» sul fronte economico e occupazionale, non si arresta in Italia la crescita della povertà assoluta, quasi triplicata dagli anni precedenti alla crisi a oggi. A metterlo in luce è il volume “Povertà in attesa. Rapporto Caritas italiana 2018 su povertà e politiche di contrasto” presentato oggi, 17 ottobre, a Roma presso la Fondazione Con il Sud. L’aumento registrato negli ultimi dieci anni è del 182 per cento: «In Italia il numero dei poveri assoluti continua ad aumentare – spiegano dalla Caritas -, passando da 4 milioni e 700mila del 2016 a 5 milioni e 58mila del 2017».

Nel Rapporto vengono presentate e analizzate le informazioni relative a 1.982 strutture collocate in 185 diocesi. All’agosto 2018 i centri d’ascolto delle diverse tipologie sono arrivati a quota 3.366; delle 197.332 persone incontrate nel corso del 2017, il 42,2% è di cittadinanza italiana, il 57,8% straniera. Se nel nord e nel centro prevalgono gli stranieri (rispettivamente 64,5% e 63,4%), nel sud le storie intercettate sono per lo più di italiani (67,6%). Tra gli stranieri la quota più numerosa proviene dal Marocco (18,1%) e dalla Romania (12%). Nel complesso si conferma la diminuzione degli stranieri provenienti dall’Europa dell’Est a fronte di un ulteriore aumento degli africani.

Al cambiamento delle dinamiche migratorie può essere ascrivibile anche il “sorpasso” degli uomini sulle donne, dopo quasi 20 anni di prevalenza femminile. Oltre 13mila stranieri (l’11,9%) sono rifugiati o richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Sudan (14,7%), Nigeria (11,3%) ed Eritrea (9,4%). Abbastanza alta la percentuale di stranieri con permesso di soggiorno (74,5%), ma il numero molto alto di mancate risposte potrebbe nascondere una maggiore quota di irregolari, in aumento in alcuni territori. Fenomeno che viene messo in relazione con i casi di “irregolarità di ritorno” (persone che in passato erano “regolari”) e con il mancato riconoscimento della protezione internazionale.

44 anni: questa l’età media delle persone incontrate nei centri d’ascolto. I più numerosi sono i giovani tra i 18 e i 34 anni (25,1%); tra gli italiani prevalgono le persone delle classi 45‐54 (29,3%) e 55‐64 anni (24,7%); i pensionati costituiscono il 15,6%. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone coniugate (45,9%); i celibi/nubili  sono il 29,3%. Aumentano comunque le storie di solitudine e, di contro, diminuiscono le situazioni di chi sperimenta una stabilità relazionale data da un’unione coniugale. La rottura dei legami familiari può costituire un fattore decisivo per l’entrata in una condizione di povertà. Ed è in crescita anche il numero dei senza fissa dimora. Ancora, sono circa 89mila (63,9%) le persone ascoltate che dichiarano di avere figli. Tra queste, oltre 26mila  vivono con figli minori.

Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%). Il 60,9% dei ragazzi italiani incontrati (fuori dal circuito formativo e scolastico), possiede solo la licenza media; il 7,5% può contare appena sulla licenza elementare. In stretta correlazione al tema dell’istruzione c’è la condizione occupazionale: i disoccupati ascoltati nel 2017 rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%.

In linea con gli anni precedenti, nell’analisi dei bisogni di chi si rivolge ai centri di ascolto spiccano anche per il 2017 i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), in aumento rispetto al 2016. All’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione. Stando ai dati del Rapporto Caritas però alle difficoltà di ordine materiale seguono altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate alla salute (12,8%) o alle migrazioni (12,5%). Su 100 persone quasi 40 hanno manifestato tre o più ambiti di difficoltà. Solo il 36,5% ha espresso difficoltà riferite a una sola dimensione di bisogno (percentuale in calo rispetto all’anno precedente).

Le situazioni più frequenti di sovrapposizione di bisogni sono quelle in cui si combinano povertà e disagio lavorativo. Tuttavia il 46,1% degli utenti non dichiara problemi occupazionali e c’è un 4,2% che si è rivolto ai centri per problematiche di tipo non economico (malattia mentale, separazione, morte di un congiunto, difficoltà nell’assistenza di familiari, problemi di giustizia). Le richieste più frequenti restano comunque quelle relative a beni e servizi materiali (62,1%), in crescita rispetto al 2016, e così pure gli interventi e le risposte (62,9%). Tra questi prevalgono le distribuzioni di pacchi viveri, di vestiario e l’erogazione di pasti alla mensa. Nel 2017 sono stati realizzati circa 2 milioni 600mila interventi, in lieve diminuzione rispetto al 2016.

Un capitolo a parte riguarda l’attuazione del Reddito d’inclusione (Rei), che ha avuto inizio il 1° dicembre 2017. Fino al giugno 2018 ne ha potuto beneficiare il 60% degli aventi diritto (poco più di 1 milione su 1,7 milioni totali): una percentuale significativa per una misura relativamente “giovane”, secondo i ricercatori Caritas. Dal 1° giugno 2018, ricordano, sono venuti meno i criteri familiari e la grave povertà costituisce l’unico requisito d’accesso. Questo significa che la platea degli aventi diritto si è allargata fino a raggiungere la quota di circa 2,5 milioni d’individui. Resta quindi ancora da coprire l’altra metà di quei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia. Le analisi sulla situazione dopo il 1° giugno, peraltro, mostrano che il diritto al Rei non viene assicurato in tutte le aree geografiche del Paese in maniera corrispondente alla presenza della povertà assoluta. L’importo medio del Rei, inoltre, risulta ancora lontano dall’obiettivo di colmare la distanza tra il reddito disponibile delle famiglie e la soglia di povertà assoluta. Tradotto in cifre, si tratta di salire in media dagli attuali 206 euro mensili a 396; ciò significa, ad esempio, per una famiglia di una persona passare da 150 a 316 euro e per un nucleo di quattro da 263 a 454.

Nonostante i tanti aspetti da migliorare, comunque, il Rei non è uno strumento da smontare a vantaggio di una nuova misura, pena: il rischio di assestare un colpo fatale alla possibilità di avere politiche incisive contro la povertà nel nostro Paese. La sfida al contrario, sottolineano da Caritas italiana, è riuscire a far convivere l’entusiasmo e le aspettative – «realistiche e non miracolistiche» – con le difficoltà attuative e la necessità dei tempi lunghi. L’annunciata introduzione del Reddito di cittadinanza, si legge ancora nel Rapporto, è destinata a «portare con sé novità di rilievo che ci si augura tengano conto dell’esperienza maturata nell’attuazione del Rei. Questa esperienza, sia nei suoi punti di forza così come nelle sue criticità, rappresenta un patrimonio di sapere concreto che merita di essere valorizzato».

17 ottobre 2018