In Italia meno stranieri residenti. Il 64% degli alunni nato in Italia ma senza cittadinanza

Rallenta la crescita della popolazione immigrata: 47mila residenti in più. In tutto sono 5.306.548 (l’8% del totale). Oltre 2,5 milioni di lavoratori

Rallenta in Italia la crescita della popolazione straniera residente: dal 2018 al 2019 si registrano appena 47mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più. A questo si aggiungono la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019). In tutto, il numero dei cittadini stranieri residenti in Italia (compresi i cittadini comunitari) è pari a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%); la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919). A fotografare lo scenario è il XXIX Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, presentato ieri, 8 ottobre, a Roma.

Una popolazione sempre più stabile: famiglie e lavoratori. Secondo i dati del ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono 3.438.707. I titolari provengono da Marocco (circa 400mila cittadini), Albania (390mila), Cina (289mila), Ucraina (227mila) e India, che con poco meno di 160mila soggiornanti ha superato una nazionalità storica come le Filippine. Tutte comunità che da anni risiedono stabilmente nel nostro Paese, come dimostrano anche i motivi dei permessi di soggiorno, in prevalenza ci sono quelli familiari (pari al 48,6% del totale), seguiti da quelli lavorativi (41,6%). Seguono i permessi collegati all’asilo e alla protezione internazionale (5,7%) e quarti quelli per studio (appena l’1,5%). La maggior parte dei permessi è a lunga scadenza (62,3% del totale); mentre quelli di breve durata si attestano sul 37,7. Nell’approfondimento dedicato all’apporto economico dell’immigrazione si evidenzia che in Italia nel 2018 il contributo dei migranti al Pil è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9 per cento del totale. I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di Irpef. L’Iva pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. «Si tratta di dati che confermano il potenziale economico dell’immigrazione che, pur richiedendo notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori nel medio-lungo periodo – si legge nel rapporto -. Anche i costi per la gestione delle emergenze, che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4 miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in 670mila persone».

L’occupazione dei cittadini stranieri continua infatti a dare segnali di crescita, ma al contempo non registra significativi avanzamenti nella qualità del lavoro. La loro concentrazione è relegata in alcuni specifici settori, in cui le qualifiche e le mansioni ricoperte sono per lo più a un basso livello professionale o contrattualizzate a tempo (o con modalità precarie); le conseguenti differenze retributive con i lavoratori italiani, la ancora scarsa partecipazione delle donne (soprattutto di alcune nazionalità) al mercato del lavoro, l’adibizione a lavori manuali, con scarsa preparazione anche rispetto ai rischi per la sicurezza e, ancora, le scarse prospettive di crescita professionale dei più giovani. In tutto in Italia sono 2.505.000 i lavoratori stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese. Il tasso di occupazione straniera si attesta intorno al 60,1%, superiore al 58,8% degli autoctoni; parallelamente, il tasso di inattività degli stranieri extra-Ue (30,2%), per quanto elevato, risulta comunque inferiore a quello italiano (34,9%). L’87% degli occupati stranieri in Italia sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori: servizi collettivi e personali (642 mila addetti), industria (466 mila), alberghi e ristoranti (263 mila), commercio (260 mila) e costruzioni (235 mila).

860mila bambini “stranieri” nelle scuole: «Cambiare la legge». A sottolineare la presenza sempre più stabile delle comunità straniere nel nostro Paese c’è anche l’aumento degli alunni nelle classi, la maggior parte nati qui ma non considerati ancora cittadini italiani. In particolare, secondo il rapporto, nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100mila studenti italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%), raggiungendo un totale di circa 860mila unità, ossia il 10% del totale della popolazione scolastica. Di questi ormai il 64,4% è nato il Italia ma non ha la cittadinanza: un dato che, secondo Caritas e Migrantes, «rafforza sempre più la necessità di intervenire a modificare una vecchia legge, superando gli ostruzionismi politici, che legano i minori ad un fenomeno a sua volta ostaggio della politica; ovvero utilizzato per provocare o, al contrario, evitare, conflitto politico. I tassi di scolarità ci consentono di misurare indirettamente i livelli di integrazione dei giovani cittadini stranieri sul territorio. Infatti, nelle fasce di età 6-13 anni i sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7 per cento». Nell’anno scolastico 2017/2018 gli studenti italiani in ritardo sono risultati il 9,6%, contro il 30,7% degli studenti con cittadinanza non italiana, che sono anche quelli a più alto rischio di abbandono, pari al 33,1%, a fronte di una media nazionale del 14,0%. Guardando infine i dati sull’inserimento scolastico terziario emerge che si tratta prevalentemente di studenti già presenti sul territorio italiano. Aspetto, quest’ultimo, che mette in evidenza la scarsa attrattività del sistema universitario del nostro Paese.

Il rapporto si sofferma infine sull’impatto del Covid sulla scuola. In particolare dalla rete Scuole Migranti di Roma e del Lazio segnalano che, pur dotati di tablet – il ministero ne ha fornito un numero notevole – i bambini stranieri non ricevono aiuto dai familiari per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche. Se il prossimo anno scolastico si svolgerà con un sistema misto di lezioni in presenza e a distanza, potrebbero allargarsi ancora di più le disuguaglianze tra alunni stranieri e italiani. Anche da una ricerca di Caritas Italiana, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca per la Crescita Economica Sostenibile (IRCrES-CNR), sulle forme innovative di supporto scolastico offerte agli studenti stranieri emerge che durante l’emergenza il 74% delle Caritas intervistate ha avviato oltre 600 azioni di supporto alla didattica a distanza, che hanno interessato prevalentemente minori stranieri accompagnati, i quali rappresentano l’80% degli utenti raggiunti da suddette azioni. Sono le famiglie già presenti qui, dunque, ad avere sofferto di più questa situazione. Il 61% delle Caritas rispondenti ha fornito non solo sostegno materiale, attraverso la distribuzione di supporti tecnologici, in prevalenza tablet (40%) e computer (37%), ma ha anche messo in campo azioni di supporto alla didattica a distanza attraverso il coinvolgimento di circa 170 operatori in attività di verifica dei compiti (40%), nel monitoraggio della partecipazione alle lezioni online (27%) e in lezioni a supporto/integrazione della didattica a distanza (33%). Per la rete Scuole Migranti tra le famiglie più in difficoltà si distinguono quelle di nazionalità bengalese e pakistana. (Eleonora Camilli)

9 ottobre 2020