In Burkina Faso «una guerra dichiarata contro Gesù Cristo»

Parla ad Acs il vescovo di Kaya: «La situazione si aggrava sempre più. Chiaro il movente religioso degli attentati». Altri 4 fedeli uccisi durante una processione

«Una guerra dichiarata contro Gesù Cristo». Il vescovo di Kaya Théophile Nare non ha dubbi. Raggiunto telefonicamente dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) all’indomani dell’attentato del 12 maggio nella parrocchia del Beato Isidore Bakania a Dablo, nel nord del Burkina Faso, spiega che nel Paese «la situazione si aggrava sempre di più». E denuncia un nuovo attacco anticristiano dopo quello di domenica scorsa alla chiesa cattolica di Dablo – costruita grazie a una donazione di Acs – nella diocesi di Kaya, costato la vita a cinque fedeli e al loro sacerdote, don Siméon Yampa. Nel primo pomeriggio di ieri, infatti, 13 maggio, nella provincia di Bam, sempre nel Nord del Paese. quattro cristiani appartenenti alla parrocchia du Notre-Dame du Lac sono stati uccisi mentre portavano in processione una statua della Vergine dal villaggio di Kayon a quello di Singa.

«Non sappiamo esattamente chi siano i responsabili degli attentati ma è chiaro il movente religioso», afferma il presule. Secondo il vescovo, alla guida della diocesi di Kaya soltanto dallo scorso dicembre, «è chiaro che si vuole eliminare la presenza cristiana».Monsignor Nare denuncia un’escalation di attacchi anticristiani nell’area settentrionale del Paese che ha avuto inizio il 17 marzo con il rapimento di don Joël Yougbaré, parroco di Djibo nella diocesi di Dori. «È la diocesi vicina alla nostra – riferisce – ed è l’area in cui vi è maggiore presenza di terroristi, a causa della vicinanza al confine con il Niger. Ma non sappiamo chi sono questi fondamentalisti perché nessun attacco è stato mai rivendicato e i colpevoli agiscono sempre a volto coperto. Ciò che è certo è che ormai l’area in cui ci troviamo è diventata un’enclave alla quale neanche l’esercito ha accesso».

Nemmeno l’idioma consente di identificare la provenienza dei terroristi, come già avvenuto in altri casi. «Parlano sempre la lingua delle vittime». L’unico elemento che si conosce è la religione. «A Dablo, come in altri attacchi, hanno detto alle vittime che le uccidevano perché non praticavano la “vera religione”, ovvero l’Islam. E poi hanno sparato al tabernacolo. Quale messaggio più chiaro per dire: “Non vogliamo che voi cristiani pratichiate la vostra religione”?». Intanto nella comunità cristiana che è a Kaya – nettamente inferiore a quella musulmana – si diffonde il terrore. «Dopo l’attacco di domenica sono andato a Dablo per incontrare i miei fedeli per cercare di confortarli ed
ovviamente erano terrorizzati», riferisce ancora monsignor Nare notando come il messaggio di solidarietà inviato da Papa Francesco dopo l’attentato costituisca un grande incoraggiamento per tutta la diocesi e per il suo pastore. «Ho detto loro che non siamo soli e che il gesto del Santo Padre
rappresenta l’intera Chiesa universale che si stringe attorno a noi. Poi – aggiunge – li ho invitati ad avere fiducia e a non scoraggiarsi, anche se vogliono impedirci di pregare, se vogliono distruggere la nostra Chiesa. Noi dobbiamo continuare a pregare perché quella in atto in Burkina oggi non è
soltanto una guerra contro noi cristiani ma è una guerra dichiarata contro Gesù Cristo».

14 maggio 2019