In Afghanistan a rischio fame metà della popolazione
Save the Children: le famiglie sopravvivono a pane e acqua mentre la crisi economica peggiora. E la guerra in Ucraina potrebbe aumentare ulteriormente i prezzi dei prodotti
23 milioni di persone, tra cui 14 milioni di bambini: è la conta degli afghani alle prese con il rischio fame, secondo le stime di Save the Children. Vale a dire, la metà della popolazione. «L’aumento del costo del cibo in Afghanistan, che ha visto il prezzo di alcuni alimenti quasi raddoppiare rispetto al giugno dello scorso anno, costringe molte famiglie e i loro bambini a sfamarsi solo con pane e acqua durante questo Ramadan», affermano dall’organizzazione. Con l’economia del Paese vicina al collasso, «un numero crescente di famiglie afghane sono senza lavoro, in stato di indigenza e stanno ricorrendo a misure disperate per nutrire i loro figli», aggiungono.
La conferma arriva dai numeri: dalla presa di potere dei talebani, nell’agosto 2021, il costo della vita e i prezzi del cibo sono saliti alle stelle. Basti pensare che un chilogrammo di grano costa quasi il 45% in più rispetto al giugno 2021. Secondo le stime della Banca Mondiale, i redditi, al contrario, sono diminuiti di circa un terzo negli ultimi mesi del 2021. È degli ultimi giorni, riferiscono ancora da Save the Children, la notizia di un uomo che si è dato fuoco in piazza Dehmazang, a Kabul, a causa delle difficoltà economiche.
In quella che è la peggiore crisi alimentare del Paese da quando sono iniziate le registrazioni, poi, un danno ulteriore potrebbe arrivare dalla guerra in Ucraina, che potrebbe aumentare ulteriormente i prezzi dei prodotti alimentari e il costo della vita in Afghanistan, vista la sua dipendenza dalle importazioni di grano. A farne le spese in misura maggiore, i bambini, che «sono i più vulnerabili durante una crisi alimentare», dato che la malnutrizione «può a sua volta causare malattie, infezioni, arresto della crescita e morte», spiegano gli operatori di Save the Children.
Lo descrivono le parole di Amara, 44 anni, costretta a mandare i figli a lavorare per strada, dopo la recente morte del marito e la crisi economica in corso. Suo figlio guadagna 0,72 dollari al giorno facendo il facchino. «La maggior parte delle volte i bambini vanno a letto affamati a causa degli alti prezzi del cibo – racconta -. Nel mese del Ramadan i costi del cibo sono alti e spesso non abbiamo nulla con cui interrompere il digiuno. Siamo malati e preoccupati, non sappiamo come mantenerci. Non volevo costringere i miei figli a lavorare – aggiunge – ma la situazione peggiora, non ci sono soldi e non abbiamo niente da mangiare, e non posso fare altro». È simile la storia di Maryam, 32 anni. «Prima mio marito tornava a casa ogni sera con sacchetti di plastica pieni di frutta e verdura fresca. Ora torna a casa a mani vuote. I bambini si sentono privati del cibo. Non augurerei questo Ramadan a nessuno e spero che non si ripeta più», commenta.
Nelle parole del direttore nazionale di Save the Children in Afghanistan Chris Nyamandi, «il Ramadan quest’anno è diverso per molte famiglie in Afghanistan. Alla fine di una giornata di digiuno, le famiglie di solito mangiano insieme un pasto chiamato Iftar, in cui vengono condivisi diversi piatti. Ma i genitori ci dicono di non riuscire più a fornirlo ai loro figli, che a volte mangiano solo pane dopo aver digiunato per più di 12 ore». Anche prima del Ramadan, aggiunge, «molte famiglie hanno dovuto saltare i pasti, ridurre le porzioni o eliminare dalla loro dieta cibi nutrienti come frutta e verdura. È incredibilmente difficile capire come il mondo possa stare a guardare mentre è in corso una delle peggiori crisi alimentari globali. Le nostre cliniche sono piene ogni giorno di bambini pelle e ossa e i nostri medici passano notti insonni cercando di capire come salvarli. Le soluzioni esistono e il mondo deve agire ora. I governi internazionali – incalza – devono fornire finanziamenti umanitari urgenti, rilasciare i beni congelati e lavorare per stabilizzare i pilastri chiave del sistema finanziario afgano».
L’organizzazione internazionale, da parte sua, nel Paese accanto ai bambini e a sostegno delle comunità dal 1976, porta avanti programmi in 10 province e lavora con partner in altre tre province. Da quando la crisi si è aggravata, nell’agosto 2021, ha aumentato la sua risposta per sostenere il crescente numero di bambini in difficoltà, fornendo programmi di salute, sicurezza alimentare, nutrizione, protezione dell’infanzia e istruzione.
26 aprile 2022