Il vicario Reina: commemorare i defunti con il «vocabolario della vita»
L’arcivescovo ha presieduto la Messa a San Lorenzo fuori le mura. Con lui il vescovo Salera. Le due “luci” indicate: la speranza, «esperienza di paradiso», e la vita eterna, «verso cui muoviamo i primi passi in questa esistenza, che è già pienezza»
I fiori adagiati sulla lapide coprono le parole di Chiara Corbella Petrillo incise sulla pietra. Qualche lettera si intravede, ma una signora le ricorda a memoria e le sta recitando a una ragazza che è arrivata davanti alla tomba proprio in quel momento, per la prima volta. «L’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare», le dice sottovoce, mentre altre persone si avvicinano stupite dai tanti rosari intrecciati ai due piccoli cancelli. Splende un sole primaverile sul cimitero del Verano. C’è chi si ferma a pregare per i propri cari, chi a cambiare l’acqua ai fiori, chi a portarne di nuovi.
Nonostante il silenzio, sembra sia un vero e proprio giorno di festa. Ad affermare che «la risurrezione non è un’idea astratta, non è soltanto di Cristo, ma è anche la nostra, perché “chiunque crede in me, ha la vita eterna”». Lo ha ricordato l’arcivescovo Baldo Reina, vicario del Papa per la diocesi di Roma, che sabato pomeriggio, 2 novembre, ha celebrato la Messa per la commemorazione dei fedeli defunti nella basilica di San Lorenzo fuori le mura, situata proprio accanto all’ingresso del Verano.
All’interno della chiesa, le luci si accendono una decina di minuti prima della celebrazione. E il colpo d’occhio è sorprendente. Si illumina d’improvviso l’arco trionfale, rivolto verso l’assemblea, dove ci sono i mosaici del VI secolo raffiguranti Gesù tra i santi e Papa Pelagio. Proprio sotto, all’inizio della celebrazione, passa la processione guidata da Reina. Tra gli altri, presente anche il vescovo Daniele Salera, ausiliare per il settore Nord, e il parroco di San Lorenzo padre Fabrizio Carli.
«Vogliamo metterci davanti a nostra sorella morte – ha detto Reina durante l’omelia -. Quando arriva per gli altri, ne avvertiamo tutta la sofferenza e il dolore. Ma non dobbiamo dimenticare che giungerà per tutti. Questa celebrazione serve anche a noi per recuperare gli elementi essenziali della nostra fede: la risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte, il giudizio finale e la vita eterna».
In questo senso, il vicario ha indicato due luci per «illuminare questa realtà oscura». La prima è «la speranza». Parlando di Giobbe, Reina lo ha descritto come «un uomo giusto che a un certo punto si imbatte nel mistero della morte e vede venir meno le certezze della sua florida esistenza», senza però arrendersi. «Reagisce, chiede di dialogare con Dio e, proprio nella prova, tira fuori la sua speranza dicendo: “Io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere” – ha ricordato l’arcivescovo -. Anche Paolo ribadisce questo pilastro fondamentale della nostra esperienza credente: che la speranza non delude».
Quando pensiamo alla morte e la guardiamo attraverso gli occhi di chi non c’è più, ha spiegato quindi il presule, «non possiamo fermarci a questa evidenza, ma dobbiamo dire a noi stessi che Cristo l’ha vinta». Dunque, secondo Reina, «la speranza ci permette di guardare oltre e di sperimentare nel presente ciò che vivremo in Dio nella gloria. Ci fa assaporare la vita eterna ed è già esperienza di paradiso». Alla vigilia del Giubileo, ha detto ancora il vicario, «in questo luogo segnato dalla morte, vogliamo ribadire la nostra fede nella risurrezione e riaccendere, rianimare e rinnovare la speranza».
Secondo l’arcivescovo, il secondo grande faro è la vita eterna. «Quando prego il Rosario, penso che l’ultimo giorno non sarà soltanto il giorno del giudizio, ma il giorno che il Signore mi sta regalando – ha sottolineato -. La nostra esperienza terrena sia come un costante allenamento alla morte, non per metterci paura, ma per aiutare noi stessi a recuperare il senso di tutto proprio guardando alla morte». Da qui il suo invito a usare un «vocabolario della vita mentre si celebrano i defunti». Perché, ha sottolineato, «siamo qui per professare che crediamo nella risurrezione, e nella misura in cui la nostra professione di fede è sincera, abbiamo già la vita eterna e la possibilità di muovere i passi in questa esistenza che è già pienezza ed eternità».
L’arcivescovo ha chiesto infine «che il Signore ci custodisca in questo proposito e ci accompagni ogni giorno, affinché possiamo testimoniare davvero che Cristo è morto e risorto, e che noi con Lui compiamo i nostri passi verso una vita che non finisce».
Gli ha fatto eco il vescovo Salera a margine della Messa. «Il legame con i propri cari sia per tutti i credenti la possibilità di tornare su questi aspetti della fede e sentire che sono fondamentali, non periferici o poco essenziali – ha detto a Romasette -. In particolare, meditare sulla vita eterna e sulla virtù della speranza, aiuta ciascuno di noi ad avere una meta nel cammino e a mantenere la direzione giusta nelle difficoltà».
Una lunga processione verso il Verano ha concluso la Messa, mentre gli ultimi raggi di sole illuminavano una città semideserta. Le campane delle 17 hanno suonato proprio durante la recita dell’Eterno riposo guidata dall’arcivescovo Reina all’interno del cimitero.
4 novembre 2024