Il “Vangelo” poco evangelico di Zucca

La pellicola, nelle sale dal 23 maggio, affonda le radici nel romanzo omonimo di Barbara Alberti, del 1979, riproponendone il “clima”, cercando di fondere carica di contestazione e dimensione poetica

A Nazareth, Maria è una giovane in età di matrimonio. Maria sogna di andare a conoscere il mondo oltre i confini della sua cittadina. I genitori Gioacchino e Anna, vedendola di carattere irrequieto, vorrebbero invece un atteggiamento della ragazza più obbediente alle regole sociali. Il punto di partenza del film Il Vangelo secondo Maria, diretto da Paolo Zucca, nei cinema dal 23 maggio, è il romanzo omonimo scritto da Barbara Alberti.

Il romanzo, va detto subito, risente molto del momento in cui è stato pubblicato: vi si respira un’aria da tardi anni ‘70 (è il 1979), il che vuol dire che di biblico o sacro in realtà c’è ben poco. L’autrice ha voluto creare una suggestione artistica capace comunque di muoversi lungo le coordinate della “più grande storia mai raccontata”. Sulla base dell’aria che si respirava negli anni ’80, Maria viene presentata come una ragazza per la quale il matrimonio è l’ultimo dei pensieri. E in ossequio all’atteggiamento ribelle e protestatario in voga, dà all’inevitabile dissidio genitori/figli la concretezza di un immediato riscontro.

Il fatto è che Maria sogna la libertà, e in questa ottica il matrimonio con Giuseppe le appare come una brutta imposizione dalla quale uscire al più presto. Ma Giuseppe è uno che Maria ha già imparato a conoscere, è gentile e affabile e ispira fiducia. Quando è sul punto di accettare, accade l’imprevisto: un Angelo le annuncia la volontà di Dio ossia la rivelazione che porterà in grembo Gesù. Come dire che nel racconto fa irruzione il sacro. Maria dunque accoglie questa inattesa grazia ma al contempo non riesce a togliersi di testa il pensiero che tutto sommato questo non avvenga per libera scelta e che il suo libero arbitrio sia stato messo da parte.

Di fronte a questo che ritiene un sopruso, Maria urla, si arrabbia, e vorrebbe ribellarsi come donna e come essere umano. Nell’accostare queste figure religiose, la sceneggiatura entra in un protofemminismo, cercando di delineare un rapporto d’amore che muova da logiche di senso e non di costrizione.

Nato a Cagliari nel 1972, Paolo Zucca – da ricordare i film L’arbitro (2013) e L’uomo che comprò la luna (2018), favola bella e intensa – vive tra la Sardegna e Roma e per questo film ha utilizzato molte suggestive location dell’isola tra i comuni di Cabras, Macomer, la necropoli di Villa San’Antonio. Se l’aspetto interessante del lavoro va cercato nello sforzo di “umanizzazione” della figura di Maria, il tentativo di fondere carica di contestazione e dimensione poetica conduce però a risultati quasi mai del tutto convincenti né condivisibili. Forse Zucca voleva rendere il più possibile una Maria terrena, imperfetta, comprensibile, ma il tentativo resta complicato e lo svolgimento di Barbara Alberti non esce dal recinto di una semplice riduzione ai minimi termini. Ancora una volta le figure sacre non si prestano ad essere banalizzate a piacimento.

5 giugno 2024