Il trionfo dell’inadeguatezza, dietro c’è la paura della quotidianità

Come affrontarla? La risposta è già nella richiesta di aiuto. La terapia diventa un luogo dove imparare nuovi modi di affrontare la realtà. A partire dalla conoscenza di se’

Osservando l’anno appena concluso, c’è una parola che risuona nella mia mente e mi sembra essere davvero rappresentativa e, in diversi modi, collegata alle diverse persone che ho incontrato nella mia attività di consulenza: inadeguatezza. Ogni paziente, nel suo percorso di presa in carico di se stesso, ha dovuto fare i conti con la sensazione di non essere adeguato, di non essere all’altezza o di non essere in grado.

La definizione del vocabolario di “non adeguato” è la seguente: «Inferiore, insufficiente per qualità o quantità a un determinato scopo». È così che si sentono spesso i ragazzi e i giovani adulti che affrontano un momento di difficoltà e che chiedono aiuto per far fronte ai loro problemi. La percezione di non essere adeguati non sempre è chiara da subito: i ragazzi riportano i loro vissuti di ansia e agitazione e spesso non sono consapevoli delle motivazioni che sottendono il loro stato d’animo. Ho incontrato ragazzi che si sentivano a disagio nell’andare da soli a seguire le lezioni all’università o che preferivano rimanere chiusi nella loro stanza a vedere serie tv, rifiutando ogni invito a uscire con gli amici. Altri mi raccontavano di farsi in quattro per compiacere le persone intorno a loro (familiari e amici) o descrivevano rapporti di coppia in cui l’unico obiettivo era quello di non perdere l’altro, anche a costo di rinunciare a ciò che desideravano o di cui sentivano di avere bisogno.

Cosa hanno in comune questi comportamenti? La paura. Paura di non essere capaci, con il proprio bagaglio personale, di affrontare la quotidianità con le sue continue sfide: un esame, un rapporto amoroso o di amicizia diventano un terreno paludoso in cui questi ragazzi sentono di sprofondare e da cui cercano in ogni modo di scappare. Sono spaventati di non avere le capacità di affrontare la realtà e gli altri diventano ai loro occhi giudici severi della loro inadeguatezza: convinti di ciò, le strategie più sensate sono quelle di evitare le situazioni temute oppure farsi guidare dagli altri, idealizzandoli e svalutando le proprie capacità. La paura viene percepita con una intensità tale da impedire una riflessione sul suo significato e sulla sua natura: i ragazzi non riescono più a distinguere quali sono i sentimenti che provano ma hanno la sensazione di un peso sullo stomaco, di un nodo in gola o di mancanza di ossigeno (ansia).

Come affrontare tutto questo? La risposta, come spesso accade, è già nella richiesta di aiuto. I ragazzi che incontro, alla mia domanda: “Come mai sei qui?”, rispondono dando voce al desiderio di attribuire un significato a ciò che gli accade, desiderano sentirsi liberi nelle loro scelte e vogliono essere più sicuri di loro stessi. Iniziando a riflettere sui propri desideri, aprono la porta a una nuova narrazione della loro realtà. Il primo passo è quello di rendersi conto che il giudice più severo è proprio dentro se stessi e che le proprie emozioni, nessuna esclusa, sono informazioni importanti e necessarie per comprendersi. Il passo successivo è quello di collegare il proprio vissuto emotivo alle esperienze passate (anche recenti): è qui che si può scoprire che si vive il presente ancora convinti di essere diversi (e quindi sbagliati) come succedeva quando venivano presi in giro a scuola; oppure che le emozioni non devono avere spazio, come quella volta che erano spaventati da qualcosa e nessuno accanto a loro li ha rassicurati.

La terapia diventa un luogo dove imparare nuovi modi di affrontare la realtà, soprattutto a partire dalla conoscenza e dall’accoglienza di se stessi. Uno spazio dove procurarsi ciò di cui si ha realmente bisogno. In particolare, quando il vissuto di inadeguatezza è in primo piano c’è un elemento significativo e imprescindibile per favorire il lavoro: l’assenza di giudizi e pregiudizi che si respira nello spazio terapeutico. In questo clima, i ragazzi possono permettersi di farsi vedere con ciò che gli appartiene: critiche, ansie, dubbi, convinzioni. Può essere l’inizio di un nuovo modo di entrare in relazione con se stessi dandosi fiducia e credendo nelle proprie capacità, accettando di spaventarsi quando le cose diventano difficili e accettando i propri limiti. Come diceva E. Berne, l’autonomia è una condizione fondamentale del benessere psicologico e si basa su tre elementi principali: consapevolezza, spontaneità e intimità. (Guido Palopoli, Psicologo e Psicoterapeuta)

14 gennaio 2020