Il teologo Puig: «Sacerdoti, l’impegno a costruire la città»

Lo spagnolo, docente di Teologia all’Università di Catalogna, ha indicato le grandi linee di una pastorale di evangelizzazione a Roma

Lo spagnolo, docente di Teologia all’Università di Catalogna, ha indicato le grandi linee di una pastorale di evangelizzazione a Roma

Diventare una “Chiesa urbana”, suscitare la fede, vivere la responsabilità della costruzione della città. Sono i tre atteggiamenti fondamentali del sacerdote per una pastorale di evangelizzazione a Roma che sappia «far sorgere il fuoco lì dove c’è la brace». Una sfida certamente, in un tempo dove «il dominio culturale del cattolicesimo non esiste più» ma non è affatto «irrilevante», in un tempo di grande opportunità, grazie all’insegnamento e allo stile di papa Francesco «che ci spinge a non restare fermi nelle nostre tende ma a uscire calpestare le strade della città».

Così don Armand Puig i Tàrrech, spagnolo, docente alla Facoltà di Teologia di Catalogna, ha indicato le grandi linee di una pastorale di evangelizzazione a Roma, nel primo dei due incontri speciali di formazione permanente del clero promossi dalla Diocesi (il prossimo, sull’Islam, è in programma il 19 novembre). Un contributo che, ha spiegato il cardinale Vallini aprendo giovedì mattina l’incontro nell’aula magna dell’Università Lateranense, è ispirato agli atti del convegno sulla pastorale nelle grandi città, tenutosi a Barcellona nel 2014 e concluso a Roma da con un’udienza del Papa.

Puig, “anima” di quel convegno cui intervenne anche il cardinale, ha indicato la parabola del buon samaritano come «paradigma» della pastorale delle grandi città e ha illustrato sette vie per vivere concretamente la «Chiesa in uscita» cara a papa Francesco. Innanzitutto una pastorale «policentrica», come una sorta di rete, che non si esaurisca nello spazio della parrocchia. La centralità delle visite alle case e dell’incontro con le persone, «con lo scudo della pazienza e della fiducia e con la spada della prossimità», per dirla con parole paoline. La parrocchia come «santuario di misericordia», che «contesta la solitudine» delle persone prigioniere dell’anonimato: ecco allora l’opportunità di scelte come l’apertura della chiesa più a lungo possibile per preghiera e adorazione, l’attenzione alla pietà popolare, la cura della liturgia domenicale, la vicinanza ai poveri. Basti pensare ai profughi o agli immigrati in genere, agli anziani soli, ai senza dimora, solo per fare qualche esempio.

«Il pastore che abita nella grande città – ha sottolineato Puig – raccoglie nella sua sollecitudine tutte queste persone scartate, membra di un organismo vivo, dell’umanità che soffre», così che «l’incontro personale con i poveri definisce la missione della Chiesa nella città». I poveri, in sostanza, «bussola nella vita di Gesù», lo sono anche per i pastori della Chiesa «perché ci liberano dall’autoreferenzialità». Nella grande città, allora, e soprattutto nelle sue periferie – «religiose, urbane, sociali, esistenziali» – il vero «programma» è il Vangelo, ha affermato Puig. L’aveva scritto Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte, l’ha ribadito Francesco nella Evangelii gaudium, riprendendo le intuizioni di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: tre documenti che collegano, per Puig, «il primo Post-Concilio» al «secondo Post-Concilio», iniziato con il pontificato di Francesco.

Un «Vangelo vissuto» come «Chiesa di popolo», segno per Puig di un «tessuto ecclesiale» che «feconda la grande città e dà l’anima che necessita». Alla radice di questa missione, secondo il teologo, l’urgenza di una «conversione pastorale» fatta di «audacia dell’incontro, forza attraente del Vangelo, dialogo che raggiunge il cuore dell’altro». Una «conversione» che porti a «conoscere personalmente la città», a «leggere dentro di essa i segni dei tempi» e a «percepire come la salvezza di Dio si radica nella storia concreta dell’umanità che abita in modo particolare in quel posto». «La città ci appartiene – ha sottolineato Puig – per tanti motivi: teologici, storici e personali. Occorre anche conoscere le “città culturali invisibili”», citazione di Evangelii gaudium, «che stanno dentro la grande città».

 

15 ottobre 2015