Il sacerdote, uomo della Misericordia
Una vita incarnata nell’amore del Padre è la via per conoscere come conosce Dio e, sopratutto, per vivere e agire con lo stesso cuore del Padre
Una vita incarnata nell’amore del Padre è la via per conoscere come conosce Dio e, sopratutto, per vivere e agire con lo stesso cuore del Padre
Fra le dinamiche fondamentali della misericordia, resta fondamentale, per comunicarla e trasmetterla, quella dell’uomo giusto, ossia di colui che vive la misericordia di Dio e vuole che tutti ne godano, ne siano oggetto come lui. Il sacerdote è uomo della misericordia per antonomasia ma lo è realmente solo quando la sua vita è incarnata nella misericordia, quando scopre la sua grandezza di figlio attraverso la cura e l’amore di un fratello, un confratello, un sacerdote come lui che, in povertà, gli fa dono del regalo più grande di tutti: il per-dono. In questa dinamica il sacerdote non solo riconosce se stesso come oggetto dell’amore di Dio, ma riconosce la sua missione di “alter Christus”, con gioia, speranza e tanto amore. La testimonianza che segue racconta proprio questa esperienza:
«Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai suoi sacerdoti, sentì più di una volta il bisogno di invitarli a riscoprire personalmente e a far riscoprire la bellezza del sacramento della riconciliazione. «Riscopriamo con gioia e fiducia questo sacramento – le sue parole nella Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2002 -. Viviamolo innanzitutto per noi stessi, come un’esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare vigore e slancio al nostro cammino di santità e al nostro ministero». Questi inviti mi avevano sempre stupito quando ero in formazione, mentre oggi, dopo anni di ministero, comprendo quanto l’essenziale stia proprio tutto lì.
Il demonio è presentato dalla Parola di Dio come accusatore spietato che come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Il sacerdote è esperto di questa accusa soffiata dal Nemico incessantemente con violenza nel suo cuore. È attaccato costantemente perché entri in una tristezza e in uno scoraggiamento profondi. Ricevere la misericordia di Dio attraverso le parole e i gesti di un confratello, per noi che, interiormente, siamo sempre condannati dai nostri sensi di colpa cavalcati da un nemico che ci odia, diventa in molti casi un vero e proprio balsamo. L’esperienza di una parola veramente paterna e misericordiosa, non paternalistica, per noi. Sentirsi capiti non tanto psicologicamente o emotivamente, quanto nella fede. Essere sostenuti nella fede da uno sguardo di bontà di un confratello donatoci non tanto per il ministero svolto, ma per la gratitudine a Dio per il dono del nostro sacerdozio. Affaticati dalle esigenze delle anime a noi affidate, un altro sacerdote che ponga per noi la mano sul capo per donarci fisicamente la misericordia di Dio, è qualcosa che è capace di smuoverci nel profondo.
Specularmente credo che gioia più grande non ci sia per un sacerdote di restituire questo stesso dono ricevuto a un altro sacerdote: la dolcezza di ricordare a un prete come te la grandezza del sacerdozio e del dono ricevuto da Dio e per potenza di Cristo percepire dall’altra parte la commozione crescente e il riaccendersi del desiderio di riconsegnare ancora una volta tutta la propria vita al Signore. Vedere il nemico, re della tristezza, sconfitto dalla risurrezione di Cristo durante una confessione, pensando ai fiumi di misericordia che scaturiranno per tante anime da quel dono fatto a un prete come te. Rialzare con la forza di Cristo uno come noi di cui conosciamo le tentazioni di scoraggiamento, non solo psicologiche, ma quelle ben più cattive prodotte dal demonio. Di questo rendo testimonianza e per questo ringrazio Dio Padre. Veramente eterna è la sua misericordia anche per noi, per i suoi poveri preti».
Un’altra testimonianza racconta dello scontro diretto col male, di come l’amore misericordioso non solo vinca le paure di fronte a una delle manifestazioni più “sceniche” del male stesso, ma anche possa testimoniare la forza che l’amore di Dio dona puntuale nei momenti di bisogno:
«Sono sacerdote della diocesi di Roma da poco più di quindici anni, durante i quali ho sperimentato ordinariamente, nel sacramento della riconciliazione, la potente dolcezza della misericordia divina, non solo nell’amministrarlo, ma anche nel riceverlo. Però non sono pochi i casi in cui, al di fuori del sacramento, ho visto l’opera della misericordia, in me e negli altri (mai solo in me o solo in altri…), e voglio raccontarne uno, emblematico di tutti.
Avevo da poco cambiato incarico pastorale, quando mi contattò e mi venne a trovare un ragazzo della vecchia parrocchia, che mi chiedeva aiuto per un suo amico, caduto in un pessimo giro e ridotto, ormai da mesi, a un letto di ospedale senza una prognosi precisa. Nell’approfondire l’argomento, il giovane mi disse che l’amico, a causa della madre che si dedicava alla cartomanzia, era probabilmente rimasto impossessato dal demonio. A questo punto lo fermai, dicendogli che non ero io la persona adatta ad aiutarlo, e lo indirizzai a un altro sacerdote, che in passato aveva collaborato con un esorcista, e che stava nella sua parrocchia. Ma lui lo rimandò da me. Siccome era disperato per questo amico, mi decisi ad andare in ospedale, se non altro per accertarmi della situazione.
Arrivato, entrai, non annunciato, nella stanza (in fondo a un corridoio cieco) dove si trovavano il ragazzo, legato mani e piedi al letto, e la mamma, in piedi, davanti a lui. Il ragazzo viveva “al buio”, nel senso che, pur essendoci nella stanza la luce del sole, le sue pupille erano del tutto dilatate, e lui non vedeva nulla. Al mio ingresso (non annunciato, come ho detto), il ragazzo comincia ad agitarsi e a pronunciare più volte un “no”, con una voce a dir poco cavernosa, per cui, trapassato dai brividi, formulo questo pensiero: ma io, qui, che ci sto a fare?, e, rivolto alla mamma, lo esprimo, dicendole: Signora, io qui non c’entro niente, bisogna chiamare un esorcista, arrivederci! A questo punto, il tocco della Grazia. La mamma mi guarda e mi dice: Padre, non mi lasci da sola, preghi con me. Queste parole furono più eloquenti della voce cavernosa: non potevo andarmene, dovevo rimanere lì, non perché fossi esorcista (non lo ero né lo sono), ma perché c’era una mamma che piangeva per suo figlio. Questo bastò per vincere il terrore che mi aveva invaso: rimasi, pregammo un’Ave Maria, la paura passò e mi mossi per aiutare questa mamma, che piangeva. Sentito il vescovo di settore, ne ebbi il numero di un esorcista, il quale si rese disponibile ad andare in ospedale. Speravo, in cuor mio, che il mio ruolo fosse finito lì. Ma l’esorcista mi chiese di accompagnarlo a pregare con lui, le tre volte che venne, e così la misericordia che mi aveva fermato quel giorno dall’andarmene, mi costrinse dolcemente a tornare ad affrontare il mostro, dimostrandomi che, effettivamente, l’amore vince il timore. E anche il demonio, perché, dopo tre esorcismi e un po’ di settimane, il ragazzo si riprese, libero dalla possessione.
Questo hanno potuto le lacrime imploranti aiuto di una mamma cadute su un cuore ripiegato su di sé: la liberazione del figlio dal demonio (nei cui lacci era caduto a causa della mamma stessa…), e la liberazione di un prete dalle sue paure. Ringraziamo Dio e la Vergine Maria».
Senza la misericordia un prete non sarebbe che uno sterile “funzionario”, un battezzato un socio “affiliato”. Invocare e vivere la misericordia è il segreto per conoscere come conosce Dio e, sopratutto, vivere ed agire con lo stesso cuore del Padre.
1° giugno 2016