Il Roma Jazz festival va in streaming

Dal 10 al 20 novembre concerti a porte chiuse nelle sale dell’Auditorium Parco della Musica trasmessi in diretta streaming HD sulla piattaforma internazionale Live Now

Una buona notizia, seppur dal gusto un po’ amaro per la musica dal vivo romana: la 44a edizione del Roma Jazz Festival si farà. Riorganizzato in tempi record, la manifestazione ideata da IMF Foundation in co-produzione con la Fondazione Musica per Roma, si svolgerà a porte chiuse nelle sale dell’Auditorium Parco della Musica e verrà interamente trasmessa in diretta streaming HD, grazie all’alleanza strategica con la piattaforma internazionale Live Now. I concerti potranno essere acquistati singolarmente (al costo di 5 euro) o in formula abbonamento (al costo di 15 euro) direttamente su Live Now  ma anche su Dice e TicketOne e rimarranno on demand per 24 ore dopo la diretta, prevista per ogni concerto alle 21, ora italiana.

Il Roma Jazz Festival resta dunque uno dei più importanti appuntamenti internazionali dedicati al jazz in tutte le sue declinazioni, con prime assolute, ospiti internazionali e artisti italiani di spicco, nomi storici e nuove rivelazioni. Otto appuntamenti in calendario, ad aprire sarà una band simbolo di assoluta libertà creativa e di impegno politico, gli Area, formazione musicale aperta nata agli inizi degli anni ’70 intorno alla figura di Demetrio Stratos. Il 10 novembre, nella formula Area Open Project, presentano il loro nuovo album in uscita il 24 ottobre per Warner e registrato durante un live in Giappone. Il giorno successivo, 11 novembre, si salpa verso il Mediterraneo con il concerto del sassofonista sardo di fama internazionale Enzo Favata e il celebre geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi. Uno scienziato della terra e un musicista che della musica della sua terra ha fatto un’inconfondibile cifra stilistica.

Il 12 novembre arrivano al Roma Jazz Festival 2020 il pianista inglese Alexander Hawkins, uno dei giovani musicisti europei più versatili e richiesti, e Hamid Drake, batterista della Louisiana di lunga e consolidata esperienza. Dopo le due strepitose esibizioni all’Eurovision Festival – nel 2017 quando stregò pubblico e critica con la sua esibizione e nel 2018 in duetto con Caetano Veloso – Salvador Sobral arriva al Roma Jazz Festival , il 13 novembre per presentare il suo ultimo album Paris, Lisboa. Il 14 novembre sarà invece la volta dello Chopin cubano, l’Herbie Hancock de L’Havana, il pianista Roberto Fonseca, dal 2001 membro stabile del Buena Vista Social Club, che presenta il suo ultimo album Yesun. Per il 17 novembre in programma la prima mondiale del concerto multimediale Gong. La musica del trombettista Luca Aquino con la partecipazione speciale del percussionista francese Manu Katchè, le opere visive inedite di Mimmo Paladino caposcuola della transavanguardia italiana e i testi di Giorgio Terruzzi, tra le penne più brillanti e note del giornalismo sportivo italiano racconteranno le grandi storie della boxe: da Primo Carnera a Muhammad Ali, passando per Sugar Ray Robinson, Nicolino Loche, Carlos Monzon, fino a Mike Tyson. Le imprese, le vittorie ma anche le grandi sconfitte di questi atleti entrati nel mito della noble art per mettere in luce anche l’uomo che si nasconde dietro il grande campione, con le sue fragilità, i suoi sogni e i fallimenti. Sei storie di pugili per sei fantastiche parabole di vita: storie di resistenza, impegno e capacità di trasformazione, dove vincere o perdere non ha molta importanza, quando la grande impresa è riuscire a salire su quel ring.

Il Nord e il Sud del Mondo si incontrano invece il 19 novembre nel concerto di Mino Cinèlu e Nils Petter Molvær, che presentano il disco appena uscito (settembre 2020) SulaMadiana. Gran chiusura il 20 novembre con una delle cantanti, violiniste e compositrici più apprezzate della scena internazionale, la cubana Yilian Canizares con il Trio Resilient. Da sempre attenta alle tematiche dei diritti civili e femminili, la Canizares presenta al pubblico del Roma Jazz Festival 2020 il suo ultimo album Erzulie dedicato alla divinità femminile haitiana dell’Amore e della Libertà. Un tributo a tutte le donne che vivono in questo momento storico decisamente complicato e che l’artista presenta in questo modo: «Essere donna oggi in questa società è una grande sfida. Ritengo che sia mio dovere come donna, come artista e come essere umano essere impegnata nella difesa dei diritti femminili e civili in tutto il mondo: uguale retribuzione, stesse agevolazioni per accedere alla scolarizzazione, lotta contro le violenze di ogni genere, maggior presenza delle donne nelle posizioni di potere ma soprattutto rispetto per la nostra indipendenza e integrità morale».

Il titolo di questa edizione 2020, non a caso, è “Jazz for Change”. Un cambiamento quanto mai necessario in un mondo afflitto dalla pandemia, dall’emergenza climatica e dalla messa in discussione dei diritti civili, situazioni alle quali stanno reagendo con forza movimenti come Black Lives Matter e Climate for Change. E il jazz, musica per antonomasia in continua trasformazione, può essere una fonte di ispirazione: un genere basato sulla cooperazione e sull’armonia che, al tempo stesso, insegna il rispetto dei ruoli e lascia libero spazio alle individualità. Una musica che ha sempre voluto far sentire la sua voce ed essere protagonista della storia civile e culturale, come è avvenuto nel secolo scorso, così come, ci si augura, possa avvenire oggi.

Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Mario Ciampà, architetto, musicologo, imprenditore culturale, tra gli ideatori della prima edizione dell’Estate Romana. Fondatore e Direttore artistico dello storico jazz club Saint Louis e della Accademia di musica Saint Louis, dal 1976 al 1996, ha ideato e promosso molte manifestazioni e festival legati alla musica, all’arte e all’intrattenimento di qualità, tra cui: Roma Jazz Festival, Roma Gospel Festival, Roma Blues festival, Festival del Mediterraneo, ecc.

Jazz for change quest’anno. Come trasformare questo cambiamento forzato in un’opportunità anche per la musica?
Quando un anno fa nasceva questa edizione, pensavamo ai movimenti legati al cambiamento climatico, o per i diritti civili che il jazz ha sempre sostenuto, perché da sempre legato a movimenti sociali di protesta o almeno di ricerca di un cambiamento. Quindi ci veniva naturale ripescare questo collegamento sociale della musica. Poi la cosa è diventata tutt’altro, più impellente. E “Jazz for change” è diventato la necessità di un cambiamento degli stili di vita e credo che la musica in generale, e il jazz in particolare possa dare questa ispirazione.

Come sarà il festival in streaming?
Lo streaming era l’unica cosa che potevamo fare. Ma stiamo cercando di mantenere tutte le caratteristiche del live in presenza. Abbiamo allestito il palco della Petrassi come se fosse uno studio televisivo, con un grande ledwall, luci particolari, faremo le riprese con quattro telecamere, nell’orario in cui di solito iniziano i concerti all’Auditorium, ovvero alle 21, ogni concerto durerà un’ora e gli artisti, anche quelli stranieri, verranno a Roma ad esibirsi.

Come hanno accettato questa soluzione gli artisti?
All’inizio con grande preoccupazione e perplessità, poi hanno visto il nostro impegno a farli venire comunque a Roma, quindi pagando noi tutte le spese e accollandoci gli oneri dell’organizzazione e i relativi rischi degli spostamenti. E alla fine sono stati entusiasti di venire su un palco, anche senza pubblico.

Come vede il futuro dei live?
Sicuramente c’è un futuro diverso ed è quello che stiamo studiando. Ormai c’è forse anche abuso della promozione di eventi e concerti in streaming da casa, ma ci sarà un’elevazione della qualità dello streaming e la ricerca di una maggiore interazione con il pubblico. Stiamo studiando come rendere il pubblico non più passivo ma attivo nella fruizione di un concerto in streaming grazie a tecnologie come l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata. Ci vorrà del tempo, ma siamo tutti su questa strada.

Da architetto lei ha anche scoperto e progettato l’utilizzo di spazi cittadini per manifestazioni culturali, dall’ex Mattatoio; al Lungomare di Ostia fino alla Scalinata di Trinità dei Monti. Come vanno ripensati gli spazi anche quando l’emergenza sanitaria sarà finita?
Non so quando si tornerà agli eventi in presenza. Attualmente gli spazi sono off limits, qualunque cosa potrebbe creare un assembramento anche involontario, ma sono sicuro che poi ci sarà un’esplosione di richieste di fare concerti in spazi così belli che abbiamo a disposizione, sia a Roma che in tutta Italia, con una rivalutazione di panorami e di beni architettonici.

6 novembre 2020