Il presepe e la necessità di un nuovo «grido di pace»

“L’invenzione” di san Francesco nel libro di padre Fortunato “Una gioia mai provata”. Fisichella: «Invito ad aprire il cuore». Erri De Luca: «La bellezza, forza interiore»

I simboli e i personaggi del presepe parlano del e al presente. Gli angeli che annunciano la nascita del Salvatore dicono della necessità di un nuovo «grido di pace che squarcia il buio della notte», la grotta appare come «l’unica casa senza porte», segno di autentica accoglienza solidale insieme alle «braccia aperte e spalancate di Gesù Bambino», e «il cuore di carne che batte e che piange nella mangiatoia» fa da contraltare al «cuore di pietra da cui parte la guerra».

Proprio con uno sguardo rivolto al presente, pur nella ricerca del significato profondo della sacra rappresentazione che il poverello di Assisi ideò nel lontano 1223, si è svolta ieri sera, 13 novembre, nella basilica di Santa Anastasia al Palatino, la presentazione del libro “Una gioia mai provata. San Francesco e l’invenzione del presepe“, edito dalla San Paolo e scritto da padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi. «Il presepe è una provocazione alla nostra umanità – ha detto il religioso -: se il nostro cuore è spalancato, come la grotta di Betlemme, per amare il migrante e il profugo, allora c’è spazio per Cristo che nasce», ma troppo spesso il rischio è che «il Bambino con le braccia aperte, che chiede unicamente di essere accolto», trovi un’umanità «distratta».

Di come il presepe richiami il tema «delle disuguaglianze sociali» ha parlato pure l’arcivescovo Rino Fisichella, delegato per la VI Giornata mondiale dei poveri – celebrata sempre nella giornata di ieri a San Pietro -, che ha spiegato come «se non riconosciamo la semplicità dei personaggi del presepe non riusciamo a coglierne il senso profondo né a comprendere le forme di invisibilità dei nostri giorni, delle persone accanto a noi che vivono nelle nostre strade e nelle nostre piazze». È proprio «ai più semplici e non ai sapienti che Dio ha rivelato le cose più grandi – sono ancora le parole di Fisichella -, cioè a coloro che hanno il coraggio di aprire il cuore per ricevere la Parola, e nel presepe c’è la Parola che si fa carne», per questo «è un invito ad aprire il cuore e quindi a purificare gli occhi per cogliere l’essenziale». Anche lo scrittore Erri De Luca ha messo in luce il fatto che «fin dall’Antico Testamento Dio ha parlato ai più umili, e cioè ai pastori e agli allevatori, da Abramo a Mosè e fino a Giacobbe», perché più “allenati all’ascolto” in quanto «vivono gli spazi aperti delle radure e sono abituati a recepire meglio i rumori e i suoni, possibile segnale di pericolo per il loro gregge, e percepiscono quindi anche le parole della divinità».

presentazione del libro di padre enzo fortunato sul presepe, De Luca ha quindi portato la sua testimonianza riferendo della sua settima missione compiuta in Ucraina per portare aiuti umanitari alla popolazione e ha idealmente affiancato alla figura del Bambino che nasce nella mangiatoia quella dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio che ha raggiunto, portando in dono «indumenti invernali e caldi per quei bambini non solo senza genitori ma anche disabili e malati, catatonici, allettati o nelle loro sedie a rotelle». Più di tutto l’autore napoletano ha riportato con sé in Italia «l’odore della guerra, che per me è quello dell’urina di quei bambini per i quali mancano i pannolini e che non vengono spesso cambiati». Un’immagine dura che contrasta con quella della bellezza della vita che la guerra nega, «quella di un seme che, piantato nella terra, affiora salendo in verticale, contro ogni legge di gravità, e poi irradia la superficie», perciò «la bellezza non è tanto una forma esteriore quanto una forza interiore».

Dello stesso avviso Fisichella che ha commentato come solo «là dove c’è la bellezza, l’uomo scopre profondamente la sua capacità di amare»; da qui l’importanza di «dare voce alla nostalgia che c’è dentro di noi – le parole del presule -, facendo della nostra esistenza una contemplazione della bellezza. Anche di quella del presepe sulla quale, pur vivendo in una società tecnologicamente avanzata, gelosa della propria razionalità e conclamante la certezza che viene dalla scienza, l’uomo sente il bisogno di puntare gli occhi». Ancora, Fisichella ha auspicato che sempre più ci si fermi davanti al presepe «per contemplare l’essenziale» come antidoto alla mancanza di bellezza e alla «drammaticità della violenza quotidiana di cui abbiamo notizia, come quella sulle donne, che è il tradimento dell’amore stesso», e alla solitudine, «una delle patologie più grandi della cultura contemporanea».

A chiudere la presentazione, che si era aperta con un omaggio musicale del maestro Uto Ughi, il saluto del cardinale Mauro Gambetti, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che ha sottolineato come «a Natale il Signore dell’Universo si fa povero per i poveri» e poveri «siamo anche noi con la nostra solitudine esistenziale radicale, che chiede di essere corrisposta e risolta», e che, insieme, «ci fa sperimentare più forte il desiderio di comunione».

14 novembre 2022