Il premier del Sudan arrestato dai militari

Fermati anche altri membri del governo. L’appello alla resistenza. Manifestazioni contro il tentativo di golpe. Limitato l’accesso alle telecomunicazioni

Blitz, nella notte tra 24 e 25 ottobre, a Khartum, Capitale del Sudan, da parte di forze militari congiunte. Tra gli obiettivi anche il capo del governo: media locali riferiscono che i militari hanno assediato l’abitazione del primo ministro Abdalla Hamdok, dichiarandolo agli arresti domiciliari. Arrestati anche i ministri dell’Industria e dell’Informazione, il governatore della Capitale, i portavoce di esecutivo e Consiglio sovrano e un consigliere del premier Yasir Arman, vicepresidente del Sudan People’s Liberation Movement-North. L’accesso alle telecomunicazioni però «è stato limitato», informa al Jazeera da Khartum, pertanto «è molto difficile ottenere informazioni su cosa stia succedendo».

A rilanciare il messaggio del capo del governo messo agli arresti dai militari «dopo aver rifiutato di sostenere il golpe» è il profilo Facebook del ministero dell’Informazione e della cultura: un’esortazione alla popolazione civile a «scendere in strada» per «difendere la rivoluzione», in modo pacifico, dal tentativo di colpo di Stato in corso. Alle parole del premier ha fatto eco l’Associazione dei professionisti sudanesi, un’organizzazione che rappresenta 17 tra i maggiori sindacati del Paese –  fondamentale nella guida delle proteste contro il regime trentennale del presidente autocrate Omar al Bashir del 2019 -, che su Twitter, informa l’agenzia Dire, ha lanciato un appello «ai comitati di resistenza di quartiere e alle forze rivoluzionarie professionali e sindacali» a resistere al «brutale colpo di Stato», anche «erigendo barricate» e «occupando le strade». Ma il principale blocco civile, quello delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), che ha guidato le proteste anti-Bashir nel 2019, si è frammentato in due fazioni. La scorsa settimana decine di migliaia di sudanesi avevano sfilato in diverse città per sostenere il pieno trasferimento del potere ai civili e per contrastare un sit-in rivale allestito da giorni davanti al palazzo presidenziale di Khartoum chiedendo il ritorno al «governo militare». Tanto che il premier Hamdok in precedenza aveva descritto le divisioni nel governo di transizione che dall’agosto 2019 guida il Paese – un’amministrazione civile – militare – come la «crisi peggiore e più pericolosa» che deve affrontare la transizione verso un governo formato interamente di civili.

Internet è stata interrotta in tutto il Paese. Nonostante questo però sui social media circolano le prime immagini di persone scese in strada in diversi quartieri di Khartoum per manifestare contro il golpe. Decine di manifestanti, ha riferito un corrispondente Afp, hanno dato fuoco a pneumatici di auto durante raduni formatisi per le strade della Capitale per protestare contro gli arresti, mentre la televisione di Stato ha iniziato a trasmettere canti patriottici. C’è stata poi anche l’irruzione di forze militari nella sede della radio e della tv sudanese a Omdurman, nei pressi di Khartoum. Lo riferisce la Bbc che riporta una denuncia su Facebook del ministero dell’Informazione sudanese secondo cui «forze militari congiunte hanno assaltato la sede e arrestato alcuni dipendenti». Chiuse al  momento le strade principali e i ponti di accesso alla Capitale.

In assenza di una rivendicazione ufficiale da parte dell’esercito, riferisce ancora Dire, i militari che stanno tentando il golpe – circa un mese dopo un tentativo fallito di colpo di Stato – sono descritti come «non identificati» dai media sudanesi. Gli Stati Uniti intanto hanno dichiarato di essere «fortemente allarmati» per gli annunci di arresti di leader civili in Sudan da parte delle forze militari, scrive su Twitter l’inviato americano per il Corno d’Africa abdalla hamdokJeffrey Feltman. Questi annunci di una presa del potere da parte dei militari, prosegue, vanno «contro la dichiarazione costituzionale (che regola la transizione nel Paese) e le aspirazioni democratiche del popolo sudanese».

25 ottobre 2021