Il Pratone di Torre Spaccata resiste al cemento da quasi 60 anni
L’apposizione di un vincolo archeologico su una villa romana complica il progetto di edificazione sull’area che 11mila cittadini vogliono sottrarre alla cementificazione
C’è un’area di Roma che sfugge al cemento sin dagli anni ’60 e che tutt’ora continua a resistere. Era il 1965 quando tra Torre Spaccata e Cinecittà il Piano regolatore varato dal Campidoglio prevedeva di edificare uffici in una zona dove circa quarant’anni dopo (tra il 2000 e il 2005) sarebbe stata svelata la presenza di cinque ville romane, di un sito preistorico e di uno medioevale. Ci troviamo nel Pratone di Torre Spaccata, 58 ettari di terra delimitati da viale Palmiro Togliatti da un lato e da via di Torre Spaccata dall’altro. Una porzione di Roma difesa a denti stretti da chi la abita. Una fetta di città incontaminata su cui solo nel 2022 la Soprintendenza ha apposto un vincolo di tutela archeologica (di cui si è avuto notizia a luglio di quest’anno) su una delle ville di epoca romana che sorge esattamente al centro del Pratone.
«La villa in questione rientra nei 31 ettari che Cassa depositi e prestiti (proprietaria di 48 ettari dell’area n.d.r.) avrebbe dovuto vendere a Cinecittà e su cui dovevano sorgere teatri di posa e aree per le riprese all’aperto», spiega a Roma Sette Stefano Becchetti, presidente del Comitato Pratone Torre Spaccata. È una delle realtà fortemente attive nel quartiere che negli anni ha intrapreso una battaglia per difendere la ricchezza archeologica e naturalistica del Pratone sino a promuovere una petizione che ha raccolto circa 11mila firme. La richiesta è di modificare la destinazione del Pratone rendendolo un parco archeologico naturalistico. «Chiediamo una variante urbanistica», precisa Becchetti a nome di migliaia di cittadini uniti nel desiderio di tutelare una delle poche aree rimaste inedificate all’interno del Grande raccordo anulare.
Lì il progetto del ’65 che prevedeva di spostare nella periferia est della città gli uffici amministrativi sarebbe fallito. A cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, infatti, si fa strada l’idea di una città policentrica in cui ogni municipio avrebbe dovuto avere il suo centro. È da questo momento che si inizia a discutere di “centralità urbana”: un concetto che avrebbe permeato il nuovo Piano regolatore di Roma approvato – dopo anni di deduzioni e controdeduzioni – nel 2008. Nel nuovo disegno urbanistico della città, il Pratone di Torre Spaccata sarebbe stato destinatario di una previsione edificatoria di circa 600mila cubature.
Una previsione tutt’oggi invariata. A nulla valsero le evidenze archeologiche portate alla luce quasi vent’anni fa dalle archeologhe Patrizia Gioia e Rita Volpe. «Nonostante questo non venne apposto nessun vincolo e di conseguenza il Piano regolatore non previde che il luogo andasse preservato», spiega ancora il presidente del Comitato. È una staticità delle cose che porta con sé dell’assurdo: «Come è possibile pensare che le previsioni del Piano regolatore di 20 anni fa – concepite in un contesto urbano, sociale e ambientale completamente diverso – possano essere ancora valide?», si chiede Stefano Becchetti.
Eppure le cose stanno così. Anzi, si complicano quando la previsione di nuovo cemento appare quasi certa. Cassa depositi e prestiti, la società proprietaria di 48 ettari del Pratone, avvia una trattativa di compravendita con Cinecittà. Quest’ultima è interessata a sfruttare i 300 milioni di euro stanziati dal Pnrr per rilanciare l’industria dell’audiovisivo, considerata strategica dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. E per farlo intende costruire 17 nuovi teatri di posa, di cui 9 all’interno del perimetro di Cinecittà e gli altri 8 nel Pratone di Torre Spaccata. La compravendita però si arena. Il costo dell’operazione, complice l’inflazione, è troppo alto. E intanto l’apposizione del vincolo su una villa romana nel bel mezzo dell’area oggetto di interesse rappresenta un nuovo ostacolo. Tanto che il governo chiede di rimodulare l’investimento previsto. Sostanzialmente la compravendita dei 31 ettari è ancora possibile tramite il Pnrr, ma la realizzazione di alcuni teatri non potrà essere portata a termine a causa del vincolo che vieta qualsiasi costruzione «a carattere permanente» e impedisce «qualunque intervento che comporti un’alterazione dello stato dei luoghi e dell’ambiente».
Per il Comitato del Pratone è un passo in avanti decisivo verso la tutela integrale dell’area e la sua unificazione con quello di Centocelle. «Perché non possiamo permetterci di avere nella periferia est di Roma un polo archeologico?», si interroga Becchetti nella speranza che presto arrivino nuovi vincoli a difendere il Pratone. «Siamo convinti che non sia più il momento di consumare altro suolo, perché se in questi quartieri si vogliono portare servizi, intrattenimento e socialità, le infrastrutture già esistono. Vanno solo attivate», dice ancora. Insomma, è una questione di volontà politica. Ed è alla politica che adesso spetta il compito di rispondere all’istanza di 11mila cittadini.
A settembre, infatti, l’assemblea capitolina dovrebbe discutere la delibera di iniziativa popolare che ha già incassato il parere favorevole – sebbene non vincolante – della Sovrintendenza per la valorizzazione archeologica e ambientale dell’area. «Anche il dipartimento ambiente ha dato parere di conformità amministrativa», aggiunge Becchetti stigmatizzando, invece, il parere contrario espresso dal municipio VII. Non resta che aspettare e resistere. Ancora.
31 luglio 2023