Il populismo, «degenerazione del potere»

Alla Gregoriana la conferenza di Vincenzo Buonomo (Lateranense), e Rocco D'Ambrosio, ordinario di Filosofia politica nell'ateneo dei Gesuiti. Il rimedio: «Conoscenza e partecipazione»

«Possiamo alzare i muri che vogliamo ma saremo 10 miliardi di persone entro il 2050 e l’aspirazione a muoversi è una cosa normale». Lo ha affermato il rettore della Pontificia Università Lateranense Vincenzo Buonomo, nel corso dell’incontro che si è tenuto alla Gregoriana ieri pomeriggio, 10 gennaio, sul tema “Potere e populismo”, nell’ambito del ciclo di conferenze dedicato ai 70 anni della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. In particolare, Buonomo si è soffermato sugli articoli relativi al diritto di mobilità e asilo (13-15) mentre padre Rocco D’Ambrosio, ordinario di Filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana, sull’articolo 21, che riguarda la partecipazione alla vita pubblica. Quest’ultimo, senza mai nominarlo, non ha risparmiato dure critiche al vicepremier Salvini e in generale al populismo dell’attuale maggioranza.

Il rettore della Lateranense ha evidenziato che un elemento con cui dobbiamo fare i conti sono i conflitti che hanno come effetto lo spostamento forzato di persone. Secondo gli ultimi dati, «si muove il 4% della popolazione mondiale, fenomeno in crescita che purtroppo viene affrontato ma non governato. In altre parole, «non abbiamo una governance dell’immigrazione ma un approccio emergenziale». Sottolineando anche gli aspetti ambientali che influiscono sulle migrazioni, Buonomo ha ricordato che «oggi chi chiede asilo non può più rientrare nel suo Paese. La grande questione quindi non è concederlo o meno ma i tempi di concessione, che creano il problema della mancata sussidiarietà e protezione». Quanto alla «violazione diritti dei migranti, la questione più importante – ha concluso – è il contrabbando di persone».

«Non basta bollare qualcuno come populista ma bisogna capire questo fenomeno, degenerazione del potere, la cui finalità è il bene dei singoli e dei gruppi», ha invece detto D’Ambrosio. Parafrasando Aristotele, ha affermato che «una politica che non garantisce i diritti dei piedi che si muovono è una perversione». Analizzando il populismo, ha spiegato che «i suoi riferimenti sono il popolo e il leader». Un popolo «vago, non ben definito, quasi in perenne stato di resistenza e assediato da alcuni nemici sociali storici: ebrei, musulmani, immigrati, stranieri, neri e così via». E ha avvertito, citando Papa Francesco, che «troppo populismo può portare a forme totalitarie». Il leader di questo “popolo” è «un nuovo Cesare che non tollera forme genuine e autentiche di relazioni di potere». E facendo un riferimento a «un politico italiano»: «Ad esempio non sopporta le ong» o «ha detto che un procuratore doveva andare in pensione, cosa ignobile, che va contro la divisione dei poteri dello Stato». Il populismo, ha concluso, «è una malattia che serpeggia e lascia apparentemente intatte le strutture democratiche ma le mina alla base. È un esautoramento di alcuni poteri. Papa Francesco dice che il populismo è l’anticamera della dittatura: sono scomparsi i manganelli, non so ancora per quanto, ma la sostanza è la stessa». Il rimedio? «Conoscere e partecipare – ha risposto D’Ambrosio -. I populisti non attecchiscono dove ci sono cittadini che conoscono e partecipano».

11 gennaio 2019