Il popolarismo di don Luigi Sturzo, «antidoto ad antipolitica e populismo»
Alla Gregoriana un convegno dedicato al padre del Partito Popolare, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario dell’Appello ai Liberi e forti. Negli anni ’50 l’aspirazione del sacerdote: «Vorremmo avere politici morali ed efficienti»
«Tornare alle origini del popolarismo per trovare le armi per combattere il populismo. Don Sturzo fu una persona appassionata della giustizia sociale». Con queste parole padre Jacquineau Azetsop, gesuita camerunense decano della facoltà di Scienze sociali della Gregoriana, ha introdotto il convegno che si è svolto ieri sera, 25 febbraio, nell’università pontificia, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario dell’Appello ai Liberi e forti di don Luigi Sturzo. Un seminario denso, sul tema “La democrazia per il bene comune: popolarismo vs populismo”, che ha visto come relatori l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, presidente della Commissione storica per la causa di beatificazione di don Sturzo, Nicola Antonetti, docente all’Università di Parma, presidente dell’Istituto Sturzo, l’onorevole Pierluigi Castagnetti e Giovanni Dessì, docente all’Università di Tor Vergata e segretario dello stesso Istituto.
«Sturzo pensò come uomo d’azione e agì come uomo di pensiero», ha ricordato Pennisi. Il suo fu un tentativo di «realizzare un impegno politico e sociale che ha radici nell’insegnamento sociale della Chiesa» visto «come atto di amore verso la comunità»; tentativo che «riveste una grande attualità e può essere l’antidoto all’antipolitica e al populismo di questi tempi». L’arcivescovo ha ripercorso il cammino formativo del sacerdote di Caltagirone, sottolineando l’impegno per una modernizzazione culturale dei cattolici. Sturzo mise al bando il superficialismo, l’impreparazione, premessa fondamentale per una grande aspirazione: «Introdurre la carità cristiana nella vita pubblica». Un impegno politico non solo teorico ma pratico. Per questo le nascenti Settimane sociali non lo entusiasmavano perché temeva che fossero «limitate alla parte teorica; lo interessava di più l’amministrazione». Giunse alla sua visione del partito «non da un disegno teorico ma attraverso la partecipazione attiva all’amministrazione della città».
Un partito, quello disegnato da Sturzo, «che si pone al centro dello schieramento politico, al di là degli estremismi», aconfessionale nel tentativo «di trovare non una zona intermedia tra fede e storia ma di far lievitare dal basso alcuni valori cristiani presenti nella realtà popolare, con una responsabilità diretta dei cattolici impegnati in politica e in autonomia dalla gerarchia senza metterla in discussione» per «non compromettere la religione nelle agitazioni della politica», le parole di Pennisi. Il modello di Sturzo è quello di un partito che si ispira a una «lotta sociale che rivendicava i giusti diritti senza usare la violenza, a differenza della lotta di classe»; una formazione che «si oppone a statalismo, partitocrazia e dittatura», in cui la «sovranità popolare è limitata dalla legge morale naturale. È impossibile capire Sturzo – ha concluso il presule – se si prescinde dalla sua concezione del rapporto tra politica e cultura».

Antonetti si è soffermato invece sul «rapporto uomo-Stato, anche oggi in discussione» e sulle differenze tra la democrazia rappresentativa, propugnata da Sturzo, che voleva una riforma dello Stato liberale ottocentesco in chiave democratica, e quella diretta. Le idee del padre del Partito Popolare ricevettero le critiche di intellettuali come Gobetti e Gramsci, che gli rimproveravano l’incapacità di coagulare le forze capaci di sostenere quel grande progetto. La replica fu che «la riforma statale parte dal basso come consenso e scende dall’alto come attuazione». Soprattutto, «non può prescindere dall’organizzazione ordinata e gerarchica» degli istituti sociali. Una «riforma solo morale» sarebbe pura stoltezza. La grandezza di Sturzo si esplica dunque nell’«equilibrio tra etica e politica» perché «una politica che non si confronta con l’etica può degenerare facilmente, mentre un’etica che non si confronta con la politica è narcisistica».
«Il grande merito storico di Sturzo fu quello di aver portato i cattolici nel circuito della politica quando era ancora vigente il “non expedit”, con un Papa molto aperto alle problematiche sociali come Leone XIII ma non tanto d’accordo su un partito dei cattolici. Sturzo si è dovuto inventare un partito senza avere il sostegno diretto della Chiesa. Intanto perché i cattolici non essendo nativi democratici dovevano imparare la democrazia», ha affermato Castagnetti. «Il capolavoro di Sturzo è stato inventarsi un modello di partito diverso da quelli esistenti, liberale e socialista. Anticipa la Lumen Gentium che riconobbe la competenza dei laici nel trattare le questioni temporali per ordinarle al disegno di Dio». Il tutto, tenendo la Chiesa «al riparo da ogni strumentalizzazione, dalle miserie della politica». Una «forma partito modernissima, che oggi non penso si possa riproporre – ha aggiunto – ma tale da ispirare la Costituente» nell’idea dei «cittadini che si associano per partecipare alla vita politica del Paese». Castagnetti ha ricordato anche la visione europeista di Sturzo: «Fu il primo a parlare di Stati uniti d’Europa, 13 anni prima di Spinelli. Parlava del diritto di guerra per contestarlo e l’Europa viene vista come strumento per evitare il rischio di conflitti». Parole scritte quando è in corso la guerra di Spagna. L’ex parlamentare ha ricordato come la sera della firma dei Trattati di Roma, nel ‘57, Adenauer non andò a cena al Quirinale ma nel convento delle Canossiane dove abitava Sturzo, come «riconoscimento della sua idea originale».
Da ultimo, Dessì ha sottolineato come per Sturzo «le convinzioni morali non siano mai disgiunte da una concreta analisi dei fatti storici. La politica è tendenza alla moralità, non è mai moralità assoluta». L’idea fondamentale è che «nell’uomo c’è la legge naturale. Sturzo non si sofferma quasi mai sui contenuti di tale legge ma ribadisce che c’è nell’uomo la tendenza a muoversi verso il bene e il vero, l’apertura alla legge naturale». Secondo Sturzo «la libertà crea la società» e «famiglia, politica e morale sono tre forme della socialità che esprimono la libertà dell’uomo nella storia». Dopo aver evidenziato la visione del sacerdote siciliano secondo cui «una politica che ha solo ideali morali è inefficace e una politica che si ferma al realismo non è una buona politica», Dessì ha concluso ricordando l’aspirazione formulata da Sturzo negli anni ’50: «Vorremmo avere politici morali ed efficienti. Formarli – ha commentato – è il problema della democrazia italiana nel dopoguerra».
26 febbraio 2016