“Il polacco”: la sorpresa di Coetzee

Nel romanzo, breve e incisivo, la storia d’amore fra un austero pianista settantenne e una giovane signora spagnola si lega allo scorrere inarrestabile dei giorni e alla vanità della gloria

Ancora una volta, J.M. Coetzee, il grande autore sudafricano premio Nobel per la Letteratura nel 2003, ci sorprende con un romanzo breve e incisivo, scandito in sei parti dai capitoli numerati anche di poche righe, Il polacco (pp. 117, Einaudi, traduzione di Maria Baiocchi, 17 euro): la storia d’amore fra un austero pianista settantenne, specializzato nelle esecuzioni di Chopin e una giovane signora spagnola, sposata con figli, che abita a Barcellona.

All’inizio il sentimento del musicista non sembra essere del tutto ricambiato, al punto tale da assumere la dimensione dantesca dell’unilateralità, esplicitamente citata dal protagonista, la cui risonanza è insita nel nome di lei: Beatriz, come Beatrice. In seguito però la donna, sottilmente insoddisfatta, subisce il fascino dell’innamorato, accettando un soggiorno insieme a lui nell’isola di Maiorca. La vicenda conosce una svolta dopo l’improvvisa morte dell’uomo, la cui figlia, che vive a Berlino, si mette in contatto con Beatriz invitandola a Varsavia per ritirare una scatola che il musicista le aveva destinato. Superando non poche titubanze e disguidi, lei ci trova molti versi, composti in polacco: dopo averli fatti tradurre («Sono certa che non siano grandi poesie, ma è triste pensare che ci abbia lavorato così tanto e che nessuno le leggerà mai»), scopre la loro trama ingenuamente stilnovistica e tuttavia carica di febbrile tensione amorosa: forse solo in quel momento si rende conto di essere stata conquistata da Witold Walczykiewicz, questo il nome, quasi impronunciabile, del suo antico corteggiatore, il quale da giovane aveva anche pubblicato un libro lirico.

Se questa è l’architettura tematica del volumetto, i suoi contenuti più profondi si legano allo scorrere inarrestabile dei giorni e alla vanità della gloria (in senso petrarchesco, potremmo aggiungere noi italiani) con la pragmatica conseguente indicazione esistenziale, incarnata dall’austera regina amata dal pianista: «Quando era giovane agiva d’impulso. Si fidava dei suoi impulsi e li seguiva. Oggi è più prudente. La linea d’azione prudente – non c’è dubbio – sarebbe quella di prendere le distanze dal fuoco, aspettare che si sia consumato, poi, forse, se fosse ancora curiosa, frugare nella cenere». Quello che poi sostanzialmente farà inseguendo il fantasma del vecchio maestro.

Basta scorrere qualche poesia di Witold per comprendere, non solo e non tanto la natura del lascito testamentario del polacco, quanto lo scenario in cui Coetzee, 83 anni, ha voluto collocare questa sua opera. Nella penultima: «Come il serpente che si morde la coda / il tempo non ha fine. / C’è sempre un tempo nuovo / una nuova vita / una vita nuova». Nell’ultima: «Quanto a me, non ho avuto fortuna, / arrivato troppo tardi, vissuto troppo lontano / ho avuto solo la sua immagine su cui chiudere gli occhi / povera cosa fluttuante nelle camere della memoria».

31 ottobre 2023