“Il paradiso del pavone”, il talento di Bispuri

Nelle sale il terzo film della regista, al centro delle difficoltà delle relazioni in un quadro di famiglia con l’animale nel ruolo di ospite inatteso

In un giorno d’inverno, Nena riunisce la famiglia per festeggiare il suo compleanno. Nella casa sul lungomare fuori Roma, il gruppo si compatta. Il primo è Umberto, marito di Nena; i figli Vito e Caterina con la cugina Isabella, la nuora Adelina e l’ex genero Manfredi con la sua nuova fidanzata Joana. La nipotina Alma, figlia di Vito e Adelina, e la domestica Lucia con sua figlia Grazia.

Su questo sfondo si muove “Il paradiso del pavone”, nelle sale dal 16 giugno. L’incipit del racconto è suggestivo. In mezzo a tanti esseri umani, la comparsa del pavone, elegante e misterioso, appena si palesa fa deflagrare la piccola tranquillità latente. A poco a poco i commensali si siedono a tavola ma si intuisce che quel pranzo non si farà mai. Ospite inatteso, il pavone, con le sue incongruenze, metterà a nudo alcuni risvolti relazionali che aleggiavano sulla stanza provocandone improvvise disfunzionalità.

Va rilevata una forte differenza tra la prima mezz’ora e il proseguimento di una trama che, quasi a livello inconscio, mentre si addentra nella conoscenza dei singoli, sembra perdere di vista il senso complessivo di un equilibrio familiare via via più precario. La presenza del pavone assume un equilibrio metaforico, dove, a un certo punto, l’animale, lasciato solo sul terrazzo ad un piano alto, perde l’equilibrio e cade a terra, finendo sulla strada senza vita. Cominciato con un entusiasmo peraltro molto contenuto per un evento lieto come il compleanno, il racconto finisce in una mesta cerimonia degli addii. Siamo tutti dei pavoni di passaggio, chiusi in una gabbia senza via d’uscita. Riassunto così il plot potrebbe apparire un labirintico intreccio con poche alternative.

Siamo dalle parti dei sentimenti provvisori, di una verità aspra e nascosta, di un amore per le cose e la natura così forte da portare alla commozione. Di fronte al pavone ormai inerte, il gruppo non sa più il motivo che lo ha riunito ma è compatto nel cercare in una forza superiore il senso dello stare insieme.

La regista Laura Bispuri, nata a Roma nel 1977, è esponente di quell’ultima generazione del cinema italiano che si è ormai lasciata alle spalle i fasti della gloriosa commedia italiana e dice a chiare lettere la precarietà del mondo contemporaneo, ne evidenzia limiti, ritardi ma soprattutto non ha timore di rifugiarsi nella ricerca di soluzioni alternative. Film di raffinata fattura, opera terza dopo “Vergine giurata”, 2015, e “Figlia mia”, 2018, conferma di un talento ispido, rigoroso, virile.

27 giugno 2022