Il Papa: pregare è trasformare la realtà

L’omelia della Messa per i 400 anni dalla canonizzazione di Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Filippo Neri e del laico Isidoro l’agricoltore

 «Se la preghiera è viva, “scardina dentro”, ravviva il fuoco della missione, riaccende la gioia, provoca continuamente a lasciarci inquietare dal grido sofferente del mondo. Chiediamoci come stiamo portando nella preghiera la guerra in corso». Lo ha detto Papa Francesco all’omelia della celebrazione eucaristica per il IV centenario della canonizzazione dei santi Isidoro l’Agricoltore, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa di Gesù e Filippo Neri, nella chiesa del Santissimo Nome di Gesù, la “chiesa madre” dei Gesuiti. Una Messa che ha lasciato presiedere a padre Arturo Sosa, preposito generale della Compagnia di Gesù, pronunciando l’omelia sul Vangelo della Trasfigurazione.

La sua riflessione si è sviluppata intorno a quattro verbi, quattro azioni di Gesù. La prima è stata “prendere con sé”. È Gesù, infatti, che «prende i discepoli, ed è Lui che ci ha presi accanto a sé: ci ha amati, scelti e chiamati. All’inizio c’è il mistero di una grazia, di un’elezione. Non siamo stati anzitutto noi a prendere una decisione, ma è stato Lui a chiamarci, senza meriti nostri». Il Papa ha invitato a ripartire dal «dono della gratuità dell’amore di Dio». Per portarci dove? «Al suo monte santo. Lì ci conduce la grazia. Allora, quando proviamo amarezze e delusioni, quando ci sentiamo sminuiti o incompresi, non perdiamoci in rimpianti e nostalgie. Sono tentazioni che paralizzano il cammino. Prendiamo invece in mano la nostra vita a partire dalla grazia». Francesco ha esortato a non stancarci «di chiedere la forza di costruire e custodire la comunione, di essere lievito di fraternità per la Chiesa e per il mondo. Sentiamo con la Chiesa, respingiamo la tentazione di inseguire successi personali e di fare cordate. Non lasciamoci risucchiare dal clericalismo che irrigidisce e dalle ideologie che dividono».

Il secondo verbo è “salire. Gesù «salì sul monte». La strada di Gesù non è in discesa, è un’ascesa. Per seguire Gesù «bisogna dunque lasciare le pianure della mediocrità e le discese della comodità; bisogna lasciare le proprie abitudini rassicuranti per compiere un movimento di esodo». Solo «la salita della croce conduce alla meta della gloria. Questa è la strada: dalla croce alla gloria. La tentazione mondana è ricercare la gloria senza passare dalla croce. Noi vorremmo vie note, diritte e spianate, ma per trovare la luce di Gesù occorre continuamente uscire da sé stessi e salire dietro di Lui». Citando a braccio la lotta di Abramo con gli avvoltoi per difendere l’offerta presentata a Dio, il Papa ha aggiunto: «Guardiamo questo: lottare per difendere questo cammino, questa strada, questa nostra consacrazione al Signore. Il discepolo di ogni ora si trova di fronte a questo bivio. E può fare come Pietro, che mentre Gesù parla di esodo dice: “È bello essere qui”. C’è sempre il pericolo di una fede statica, “parcheggiata”. Il rischio è quello di ritenersi discepoli “per bene”, che in realtà non seguono Gesù ma restano fermi, passivi e, come i tre del Vangelo, senza accorgersi si assopiscono e dormono». Ma «per chi segue Gesù non è tempo di dormire, di lasciarsi narcotizzare l’anima, di farsi anestetizzare dal clima consumistico e individualistico di oggi, per cui la vita va bene se va bene a me; per cui si parla e si teorizza, ma si perde di vista la carne dei fratelli, la concretezza del Vangelo. Un dramma del nostro tempo è chiudere gli occhi sulla realtà e girarsi dall’altra parte. Non avere paura di toccare le piaghe: sono le piaghe del Signore».

Poi c’è il pregare: «La trasfigurazione nasce dalla preghiera. Chiediamoci, magari dopo tanti anni di ministero, che cos’è oggi per noi pregare. Forse la forza dell’abitudine e una certa ritualità ci hanno portati a credere che la preghiera non trasformi l’uomo e la storia. Invece pregare è trasformare la realtà. È una missione attiva, un’intercessione continua. Non è distanza dal mondo ma cambiamento del mondo. Pregare è portare il palpito della cronaca a Dio perché il suo sguardo si spalanchi sulla storia. Perché se la preghiera è viva, scardina dentro». Qui il Papa si è chiesto: «Come stiamo portando nella preghiera la guerra in corso?». Infine, «Restò Gesù solo». «Il Vangelo – ha detto ancora – termina riportandoci all’essenziale. Siamo spesso tentati, nella Chiesa e nel mondo, nella spiritualità come nella società, di far diventare primari tanti bisogni secondari. È una tentazione di ogni giorno. Rischiamo, in altre parole, di concentrarci su usi, abitudini e tradizioni che fissano il cuore su ciò che passa e fanno dimenticare quel che resta». Perciò «è importante lavorare sul cuore, perché sappia distinguere ciò che è secondo Dio, e rimane, da quello che è secondo il mondo, e passa».

Al termine della Messa, padre Sosa ha ringraziato il Santo Padre per la sua presenza e gli ha fatto gli auguri alla vigilia del nono anniversario della sua elezione. Poi dieci donne hanno donato al Papa il libro sulla mostra “Volti al futuro”, una raccolta di foto di rifugiati che vivono a Roma, e una borsa di tela colorata realizzata con stoffe africane cucite insieme durante i mesi più duri della pandemia. Sono donne, ha spiegato padre Sosa, ospitate dal Centro Astalli che «hanno conosciuto il male della guerra e si impegnano ogni giorno per la pace».

14 marzo 2022