Il Papa prega in due chiese di Roma per la fine della pandemia

Prima a Santa Maria Maggiore e poi a San Marcello, davanti al Crocifisso portato in processione nel 1522 per la fine della peste. All'Angelus la vicinanza ai malati

Un gesto dalla portata storica. La preghiera a sorpresa in due chiese di Roma per invocare «la fine della pandemia che colpisce l’Italia e il mondo». È quello che ha compiuto Papa Francesco ieri, domenica 15 marzo, recandosi prima nella basilica di Santa Maria Maggiore e poi, percorrendo un tratto di via del Corso a piedi come un pellegrino, in una città deserta, nella chiesa di San Marcello.

Ad annunciarlo, poco dopo le 18, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. «Poco dopo le 16, Papa Francesco ha lasciato il Vaticano in forma privata – comunica ai giornalisti – e si è recato in visita alla basilica di Santa Maria Maggiore, per rivolgere una preghiera alla Vergine, Salus populi Romani, la cui icona è lì custodita e venerata». Un luogo caro a Francesco, che vi si reca prima e dopo ogni viaggio apostolico.

Quindi, dopo un tratto di via del Corso a piedi, la seconda sosta in silenzio, nella chiesa di San Marcello al Corso, «dove si trova il Crocifisso miracoloso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della città perché finisse la “Grande Peste” a Roma». Nella notte del 22 maggio 1519, va ricordato, l’antica chiesa a due passi da Fontana di Trevi e da piazza Venezia – affidata ai Servi di Maria dal 1369 – fu quasi completamente distrutta da un incendio; nel rogo si salvò miracolosamente proprio il grande crocifisso ligneo, che da quel momento divenne, ed è tuttora, oggetto di grande venerazione.

papa francesco a piedi a via del corso, coronavirus
Papa Francesco a piedi diretto alla chiesa di San Marcello al Corso (foto: Ansa)

 

«Con la sua preghiera, il Santo Padre – spiega Bruni – ha invocato la fine della pandemia che colpisce l’Italia e il mondo, implorato la guarigione per i tanti malati, ricordato le tante vittime di questi giorni, e chiesto che i loro familiari e amici trovino consolazione e conforto. La sua intenzione si è rivolta anche agli operatori sanitari, ai medici, agli infermieri, e a quanti in questi giorni, con il loro lavoro, garantiscono il funzionamento della società».

All’Angelus il Papa, come sta facendo ormai ogni giorno durante le Messe celebrate a Santa Marta, aveva rinnovato la sua vicinanza ai malati, parlando nuovamente dalla biblioteca del Palazzo apostolico vaticano in diretta tv e streaming. «In questa situazione di pandemia, nella quale ci troviamo a vivere più o meno isolati, siamo invitati a riscoprire e approfondire il valore della comunione che unisce tutti i membri della Chiesa. Uniti a Cristo non siamo mai soli ma formiamo un unico Corpo, di cui Lui è il Capo. È un’unione che si alimenta con la preghiera e anche con la comunione spirituale all’Eucaristia, una pratica molto raccomandata quando non è possibile ricevere il Sacramento. Questo lo dico per tutti, specialmente per le persone che vivono sole. Rinnovo la mia vicinanza a tutti i malati e a coloro che li curano. Come pure ai tanti operatori e volontari che aiutano le persone che non possono uscire di casa e a quanti vanno incontro ai bisogni dei più poveri e dei senza dimora».

Un pensiero particolare Francesco lo aveva rivolto alla Lombardia, gravemente colpita dall’epidemia. «In questo momento sta finendo a Milano la Messa che il Signor arcivescovo celebra nel Policlinico per gli ammalati, i medici, gli infermieri, i volontari. Il Signor arcivescovo è vicino al suo popolo e anche vicino a Dio nella preghiera. Mi viene in mente la fotografia della settimana scorsa: lui da solo sul tetto del Duomo a pregare la Madonna. Vorrei ringraziare anche tutti i sacerdoti, la creatività dei sacerdoti. Tante notizie mi arrivano dalla Lombardia su questa creatività. È vero, la Lombardia è stata molto colpita. Sacerdoti – le parole del Papa – che pensano mille modi di essere vicino al popolo, perché il popolo non si senta abbandonato; sacerdoti con lo zelo apostolico, che hanno capito bene che in tempi di pandemia non si deve fare il “don Abbondio”».

16 marzo 2020