Il Papa: «Nell’era dei social, abbiamo bisogno dello Spirito di unità»

Sul sagrato della basilica vaticana la Messa di Pentecoste. «Oggi nel mondo le disarmonie sono diventate divisioni: c’è chi ha troppo e c’è chi nulla, c’è chi cerca di vivere cent’anni e chi non può venire alla luce». No alla «cultura dell’insulto»

«Spirito Santo, rendici artigiani di concordia, seminatori di bene, apostoli di speranza». Con queste parole il Santo Padre Francesco ha concluso l’omelia della Messa di Pentecoste concelebrata ieri in piazza San Pietro insieme a decine di cardinali, vescovi e sacerdoti. Nella solennità che conclude il tempo pasquale, il Papa, dopo aver ricordato come la discesa dello Spirito Santo abbia completamente trasformato gli apostoli, da persone incerte e timorose a coraggiosi annunciatori del Vangelo, si è soffermato sull’armonia che scaturisce dalla Terza Persona della Santissima Trinità: «Lo Spirito non è, come potrebbe sembrare, una cosa astratta; è la Persona più concreta, più vicina, quella che ci cambia la vita. Come fa? Guardiamo agli Apostoli. Lo Spirito non ha reso loro le cose più facili, non ha fatto miracoli spettacolari, non ha tolto di mezzo problemi e oppositori ma lo Spirito ha portato nelle vite dei discepoli un’armonia che mancava, la sua, perché Egli è armonia».
Un dono prima di tutto interiore: «La pace – ha detto il pontefice – non consiste nel sistemare i problemi di fuori – Dio non toglie ai suoi tribolazioni e persecuzioni – ma nel ricevere lo Spirito Santo. È una pace che rende il cuore simile al mare profondo, che è sempre tranquillo anche quando in superficie le onde si agitano», che «può trasformare persino le persecuzioni in beatitudini. Quante volte, invece, rimaniamo in superficie! Anziché cercare lo Spirito tentiamo di rimanere a galla, pensando che tutto andrà meglio se passerà quel guaio, se non vedrò più quella persona, se migliorerà quella situazione. Ma questo è rimanere in superficie: passato un problema ne arriverà un altro e l’inquietudine ritornerà. Non è prendendo le distanze da chi non la pensa come noi che saremo sereni, non è risolvendo il guaio del momento che staremo in pace».

 

Il Papa ha messo in guardia dalla frenesia che sembra prendere tutto e tutti, in un mondo in cui «sembra che l’armonia sia emarginata: tirati da mille parti rischiamo di scoppiare, sollecitati da un nervosismo continuo che fa reagire male a ogni cosa. E si cerca la soluzione rapida, una pastiglia dietro l’altra per andare avanti, un’emozione dietro l’altra per sentirsi vivi. Ma abbiamo soprattutto bisogno dello Spirito: è Lui che mette ordine nella frenesia», che «tra le correnti tempestose della vita, fissa l’ancora della speranza». La conseguenza è che «un cristianesimo senza lo Spirito è un moralismo senza gioia; con lo Spirito è vita».

Un’armonia che si estende poi ai rapporti tra gli uomini, perché lo Spirito Santo sa costruire l’unità partendo dalla «varietà delle qualità e dei doni. Lo Spirito li distribuisce con fantasia, senza appiattire, senza omologare. Oggi – ha continuato il Papa – nel mondo le disarmonie sono diventate vere e proprie divisioni: c’è chi ha troppo e c’è chi nulla, c’è chi cerca di vivere cent’anni e chi non può venire alla luce. Nell’era dei computer si sta a distanza: più “social” ma meno sociali. Abbiamo bisogno dello Spirito di unità, che ci rigeneri come Chiesa, come Popolo di Dio, e come umanità intera. Che ci rigeneri». Francesco ha poi stigmatizzato la «cultura dell’insulto, che è la prima risposta a un’opinione che io non condivido. Poi ci rendiamo conto che fa male, a chi è insultato ma anche a chi insulta».
Per «essere spirituali, per gustare l’armonia dello Spirito, occorre mettere il suo sguardo davanti al nostro. Allora le cose cambiano», ha concluso il Papa, perché «senza lo Spirito la Chiesa è un’organizzazione, la missione propaganda, la comunione uno sforzo» e ha invitato tutti a pregare ogni giorno lo «Spirito Santo armonia di Dio».
10 giugno 2019