Il Papa: «La vita non è una catena di sventure»

A San Pietro, la Messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nell’anno. «Nel mistero del dolore scopriamo in modo nuovo la paternità di Dio»

«L’arte di attendere il Signore». Papa Francesco ha incentrato intorno a questo perno l’omelia della Messa celebrata questa mattina, 4 novembre, nella basilica di San Pietro, in suffragio dei cardinale e dei vescovi defunti nel corso dell’anno. Accanto a lui sull’altare 26 cardinali e 22 vescovi. Aspettare il Signore «docilmente, fiduciosamente, scacciando fantasmi, fanatismi e clamori; custodendo, soprattutto nei periodi di prova, un silenzio carico di speranza. È così – ha detto – che ci si prepara all’ultima e più grande prova della vita, la morte». Prima però «ci sono le prove del momento, c’è la croce che abbiamo adesso, e per la quale chiediamo al Signore la grazia di saper aspettare lì, proprio lì, la sua salvezza che viene. Ognuno di noi ha bisogno di maturare in questo».

Il pontefice ne è consapevole: «Davanti alle difficoltà e ai problemi della vita è difficile avere pazienza e rimanere sereni. Serpeggia l’irritazione e spesso arriva lo sconforto. Può così capitare di essere fortemente tentati dal pessimismo e dalla rassegnazione, di vedere tutto nero, di abituarsi a toni sfiduciati e lamentosi. Nella prova – ha continuato – nemmeno i bei ricordi del passato riescono a consolare, perché l’afflizione porta la mente a soffermarsi sui momenti difficili. E ciò accresce l’amarezza, sembra che la vita sia una catena continua di sventure». A questo punto, però, «il Signore imprime una svolta, proprio nel momento in cui, pur continuando a dialogare con Lui, sembra di toccare il fondo. Nell’abisso, nell’angoscia del nonsenso, Dio si avvicina per salvare. E quando l’amarezza raggiunge il culmine, all’improvviso rifiorisce la speranza».

Nelle parole di Francesco, «è brutto arrivare alla vecchiaia col cuore amaro, col cuore deluso, col cuore critico delle cose nuove. La prosperità spesso rende ciechi, superficiali, orgogliosi», ha affermato; invece «il passaggio attraverso la prova, se vissuto al calore della fede, malgrado la sua durezza e le lacrime, fa sì che noi rinasciamo, e ci ritroviamo diversi rispetto al passato. Nel vivo del dolore, chi sta stretto al Signore vede che egli dischiude la sofferenza, la apre, la trasforma in una porta attraverso la quale entra la speranza». Si tratta, ha spiegato il Papa, di «un’esperienza pasquale, un passaggio doloroso che apre alla vita, una sorta di travaglio spirituale che nel buio ci fa venire di nuovo alla luce. Questa svolta – ha precisato – non avviene perché i problemi sono scomparsi ma perché la crisi è diventata una misteriosa occasione di purificazione interiore».

Prendendo a prestito le parole di san Gregorio Nazianzeno, il pontefice ha aggiunto ancora che «nulla più della sofferenza induce a scoprire cose nuove. La prova rinnova, perché fa cadere molte scorie e insegna a guardare oltre, al di là del buio, a toccare con mano che il Signore salva davvero e ha il potere di trasformare tutto, perfino la morte. Egli ci lascia attraversare delle strettoie non per abbandonarci ma per accompagnarci. Sì, perché Dio – ha assicurato – accompagna soprattutto nel dolore, come un padre che fa crescere bene il figlio standogli vicino nelle difficoltà senza sostituirsi a lui. E prima che sul nostro viso spunti il pianto, la commozione ha già arrossato gli occhi di Dio Padre. Lui piange prima». E ancora: «Il dolore resta un mistero ma in questo mistero possiamo scoprire in modo nuovo la paternità di Dio che ci visita nella prova, e arrivare a dire, con l’autore delle Lamentazioni: “Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca”».

A conclusione dell’omelia, un invito: «Davanti al mistero della morte redenta, chiediamo la grazia di guardare con occhi diversi le avversità. Chiediamo la forza di saperle abitare nel silenzio mite e fiducioso che attende la salvezza del Signore, senza lamentarci e senza brontolare». Fiduciosi che «ciò che sembra un castigo, si rivelerà una grazia, una nuova dimostrazione dell’amore di Dio per noi». Ma «saper attendere in silenzio, senza chiacchiericci, la salvezza del Signore è un’arte: è sulla strada della santità. Coltiviamola. È preziosa nel tempo che stiamo vivendo: ora più che mai non serve gridare e suscitare clamori, amareggiarci, serve che ognuno testimoni con la vita la fede, che è attesa docile e speranzosa», ha sottolineato. Il cristiano, nell’analisi del pontefice, «non sminuisce la gravità della sofferenza ma alza lo sguardo al Signore e sotto i colpi della prova confida in lui e prega, prega per chi soffre. Tiene gli occhi al cielo, ma ha le mani sempre protese in terra, per servire concretamente il prossimo. Anche nel momento della tristezza, del buio, il servizio», ha aggiunto a braccio. Quindi, l’esortazione: «Preghiamo per i cardinali e i vescovi che ci hanno lasciato nell’anno trascorso. Alcuni di loro sono morti a causa del Covid-19, in situazioni difficili che hanno aggravato la sofferenza. Possano ora questi nostri fratelli assaporare la gioia dell’invito evangelico, quello che il Signore rivolge ai suoi servi fedeli: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”».

4 novembre 2021