Il Papa: «In nome di nessun Dio si può dichiarare “santa” una guerra»
Il tema della pace, nel discorso di Francesco per gli auguri alla Curia romana. I “doni” invocati: la gratitudine, la conversione e la pace. «Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo»
La gratitudine, la conversione e la pace siano i doni di questo Natale. Con queste parole Francesco ha concluso il discorso in occasione degli auguri natalizi alla Curia romana. Parole che, contrariamente al passato, sono sembrate meno severe, pur mettendo in guardia da tentazioni e pericoli, in particolare dal «demonio educato». Riferendosi, infatti, alla parabola della dracma perduta in casa e all’atteggiamento del figlio maggiore in quella del Padre misericordioso, il Papa ha detto che «il paragone è efficace: ci si può perdere anche in casa e si può vivere infelici pur rimanendo formalmente nel recinto del proprio dovere». E ancora: «La grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire. Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal “demonio educato”, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Scusate se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi e trovare il coraggio di “affliggere i consolati”, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito».
Il pontefice ha insistito sulla conversione: «Convertirsi è imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita». Ricordando il 60° anniversario del Concilio Vaticano II, Francesco ha affermato che «la conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo e operante in questo momento storico». Un percorso «tutt’altro che concluso. L’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa nasce proprio dalla convinzione che il percorso di comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente». E ha ammonito: «Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa. L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo». Ma il male si evolve, si maschera «in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo. È una vera lotta. Il tentatore torna sempre e torna travestito. Il nostro primo grande problema è confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi. È lo spirito pelagiano di cui più volte ho parlato. Allora alcuni fallimenti sono una grazia, perché ci ricordano che non dobbiamo confidare in noi stessi, ma solo nel Signore. Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro». Per questo, «una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza», contro i demoni che «entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto».
Bergoglio ha riservato l’ultima parte del suo discorso alla pace. «Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare “santa” una guerra – ha rimarcato -. Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolgesse il nostro pensiero». Citando Bonhoeffer, ha ricordato che «la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi. Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso. La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti. Anche in questo caso è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate. Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara. Il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi. Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono – ha concluso – altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza».
22 dicembre 2022