Il Papa in Albania: «Uccidere in nome di Dio è un sacrilegio»

Francesco ha compiuto il suo quarto viaggio internazionale attraversando l’Adriatico. Ha parlato davanti ai rappresentanti delle sei comunità religiose presenti nel Paese lanciando un messaggio di pace.

Sono state undici ore dense di gesti e di parole, pesanti come macigni. Un viaggio dall’altra parte dell’Adriatico, in Albania, dove Papa Francesco ha compiuto il suo quarto pellegrinaggio internazionale. Un viaggio che, sono le parole del Pontefice, «va oltre l’Albania, che ha iniziato una strada di convivenza e collaborazione tra religioni e culture diverse che, appunto, va oltre i suoi confini, ad altri paesi che hanno le stesse radici».

«La religione autentica è fonte di pace e non di violenza – ha sottolineato il Papa -. Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano», ha detto Francesco nel suo intervento all’Università Cattolica per l’incontro con i leader di altre religioni e denominazioni cristiane. Di fronte a lui, in prima fila, i responsabili delle sei maggiori comunità religiose presenti nel Paese: musulmana, bektashi, cattolica, ortodossa, evangelica ed ebraica.

Durante la visita in Albania, il Papa ha poi celebrare la Messa in piazza Madre Teresa durante la quale il Pontefice ha ricordato le persone che hanno perso la vita per la fede. «Ripensando a quei decenni di atroci sofferenze e di durissime persecuzioni contro cattolici, ortodossi e musulmani, possiamo dire – ha scandito – che l’Albania è stata una terra di martiri: molti vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici hanno pagato con la vita la loro fedeltà. Non sono mancate prove di grande coraggio e coerenza nella professione della fede – ha ricordato il Papa – Quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa».

Il momento più toccante della giornata, nella cattedrale di Tirana, dove Francesco ha incontrato un anziano sacerdote che per 27 anni è stato rinchiuso in prigione dalla dittatura tra violenze e torture. «Mi strinsero i ferri ai polsi così strettamente che caddi quasi morto. Volevano che parlassi contro la Chiesa ma non accettai», ha raccontato il sacerdote al Papa che si è commosso abbracciandolo. «Guai a quando si cercano consolazioni lontane dal Signore» ha detto dopo aver ascoltato le testimonianze dei «martiri», ai sacerdoti, ai religiosi, alle suore e ai movimenti laicali vicini alla Chiesa.

22 settembre 2014