Il Papa di ritorno dall’Africa: «Non temo uno scisma ma prego che non ci sia»

Durante il volo che lo ha ricondotto a Roma dal Madagascar, Francesco ha risposto alle domande dei giornalisti. Tra i temi, la xenofobia e la sfida educativa nei Paesi giovani

«Io non ho paura degli scismi, anche se prego perché non ce ne siano, perché c’è in gioco la salute spirituale di tanta gente. Che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino dello scisma non è cristiano». Sul volo di ritorno dal Madagascar, ieri, 10 settembre, il Papa ha risposto alle domande dei giornalisti: oltre un’ora di conferenza stampa e una decina di domande, con un piccolo intervallo, quando i collaboratori lo avvisano che è in arrivo una turbolenza. Il Papa si siede tranquillamente insieme ai giornalisti a bordo e aspetta. Qualche minuto dopo, passata la turbolenza, si riprende. A mettere davanti a Francesco la questione dello scisma è l’inviato del New York Times (Stati Uniti), quando la conferenza stampa volge ormai quasi al termine. E il pontefice risponde tornando sulle critiche che alcuni settori, «anche all’interno della curia», rivolgono al suo pontificato: «Pillole d’arsenico», le definisce. «Almeno quelli che le dicono hanno il vantaggio dell’onestà di dirle. A me non piace quando le critiche stanno sotto il tavolo: ti fanno un sorriso facendo vedere i denti e poi ti danno il pugnale da dietro. Questo – osserva – non è leale, non è umano». La critica, al contrario, «è un elemento di costruzione, e se la tua critica non è giusta, tu stai preparato a ricevere la risposta e fare un dialogo e arrivare a un punto giusto. Questa è la dinamica della critica vera. Una critica leale – ribadisce – è aperta alla risposta: questo costruisce, aiuta».

Riguardo alla possibilità che una parte dei fedeli si stacchino per fondare una loro Chiesa, Francesco chiarisce che uno scisma è «una situazione elitaria, un’ideologia staccata dalla dottrina». Un’ideologia «forse giusta, ma che entra nella dottrina e la stacca. Per questo prego perché non siano degli scismi ma non ho paura. Questo è un risultato del Vaticano II, non di questo o di quell’altro Papa». E cita un esempio: «Le cose sociali che dico, sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse! Io copio lui. Ma dicono: il Papa è comunista. Entrano delle ideologie nella dottrina e quando la dottrina scivola nelle ideologie, lì c’è la possibilità di uno scisma. C’è l’ideologia della primazia di una morale asettica sulla morale del popolo di Dio». I pastori invece, è il messaggio di Francesco, «devono condurre il gregge tra la grazia e il peccato, perché la morale evangelica è questa. Invece una morale di un’ideologia così pelagiana ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro alla Chiesa, che non sono scismi ma vie cristiane pseudo scismatiche, che finiranno male». E in ogni caso, «quando  vedete cristiani, vescovi, sacerdoti rigidi», significa che «dietro ci sono dei problemi, non c’è la santità del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate da questi attacchi: stanno passando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza».

La conferenza stampa è l’occasione, per il pontefice, di tornare su diversi temi “caldi”. A cominciare dalle guerre che dilaniano l’Africa e dal processo di pace avviato, invece, dal Mozambico, per il quale ha voluto ringraziare «tutti coloro che hanno aiutato, fin dal primo,- un sacerdote della Comunità di Sant’Egidio che sarà fatto cardinale il prossimo 5 ottobre – dice ricordando l’impegno dell’arcivescovo Matteo Zuppi – e che poi ha continuato con l’aiuto di tanta gente di Sant’Egidio ed è arrivato a questo risultato».  Quindi aggiunge: «Per favore, mai più la guerra». Ancora, con i giornalisti Francesco cita la globalizzazione ideologica, che cancella le differenze e quindi va respinta; parla di deforestazione e perdita della biodiversità, causate spesso dalla corruzione di chi governa; mette in guardia contro il proselitismo, ribadendo che «l’evangelizzazione è innanzitutto testimonianza di vita». Guardando alla visita pastorale appena conclusa, loda quindi la capacità di vivere insieme tra persone di diverse religioni che a riscontrato nelle isole Mauritius e invita ad avere fiducia nei giovani, lanciando anche un monito ai popoli che perdono la gioia. Un segnale molto pericoloso, secondo il Papa: «È uno dei primi segnali, la tristezza dei soli, la tristezza di coloro che hanno dimenticato le loro radici culturali. Avere coscienza di essere un popolo è avere coscienza di avere una identità, di avere una coscienza, di avere modo di capire la realtà e questo accomuna la gente. Ma il segnale che tu sei nel popolo e non in una élite, è la gioia, la gioia comune».

Una notazione, quella di Bergoglio, che vale anche per l’Italia e più in generale per l’«Europa nonna», il cui benessere «è la radice dell’inverno demografico». Partendo dalla visita in Africa poi parla ancora  del primato dell’educazione dei giovani – «l’educazione in questo momento è prioritaria. E deve essere gratuita per tutti» – e della xenofobia, che «non è un problema solo dell’Africa, è una malattia umana, come il morbillo», che «tante volte cavalca i cosiddetti populismi cattolici. Ma i muri – prosegue – lasciano soli coloro che li fabbricano e alla fine della storia saranno sconfitti dalle invasioni potenti». E ancora: «Delle volte sento in alcuni posti discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel ’34. Si vede che c’è un ritornello in Europa come in Africa, dove c’è anche il tribalismo. Lì ci vuole un lavoro di educazione, di avvicinamento fra le diverse tribù per fare una nazione. Abbiamo commemorato il 25° della tragedia del Rwanda, poco tempo fa. Un effetto del tribalismo, che è xenofobia domestica. Io ricordo in Kenya, nello stadio, quando ho chiesto a tutti di alzarsi, di darsi la mano, e dire “No al tribalismo”».

11 settembre 2019