Il Papa al Verano: «Per favore pace, salvezza e lavoro»

Nell’omelia, completamente a braccio, Francesco ha dedicato la giornata del primo novembre alla “moltitudine dei santi sconosciuti” che resistono alla devastazione dell’uomo «che si crede dio»

Quando l’uomo «si crede Dio, si crede il re», i suoi simili iniziano a soffrire. Quando si erge al di sopra del creato come giudice e padrone, ecco che si avvia «l’industria della distruzione». E in questo l’uomo è bravo, ancor più degli angeli dell’Apocalisse ai quali era stato concesso di distruggere terra, mare e piante. È partita dal libro della Rivelazione l’omelia di Papa Francesco, pronunciata in occasione della Messa di Ognissanti al cimitero del Verano.

Con lui, a concelebrare, c’erano il cardinale vicario Agostino Vallini, il vicegerente Filippo Iannone, l’ausiliare per il settore Centro monsignor Matteo Zuppi, il vescovo vicario del Capitolo Lateranense Luca Brandolini e il parroco di San Lorenzo fuori le Mura, padre Armando Ambrosi. Ad animare i canti della celebrazione è stato il coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina.

Un’omelia quasi sussurrata, pronunciata, come l’anno scorso, interamente a braccio. «Devastare il creato, devastare la vita, devastare le culture, devastare i valori, devastare la speranza», l’uomo è in grado di spazzare via tutto ciò che di più bello Dio gli ha offerto. Poi, Francesco richiama alla mente le immagini che ha visto poco prima, nella sacrestia del portico d’ingresso del Verano. Il Papa è rimasto colpito dalle foto in bianco e nero che ritraggono i bombardamenti del quartiere San Lorenzo del 19 luglio 1943: «questo è stato grave, tanto doloroso».

Ma nonostante la tragedia della seconda guerra mondiale, per Francesco «quello che è successo non è niente in comparazione di quello che accade oggi», niente in comparazione alla «cultura dello scarto» che detta legge quando «le cose non si possono sistemare». E quindi «si scartano bambini, anziani, i giovani senza lavoro, i popoli», gli stessi che somigliano a quella «“moltitudine immensa che nessuno poteva contare”» citata nella prima lettura. Sono i «poveri – ha detto il Papa – che per salvare la vita devono fuggire dalle loro case, dai loro villaggi, senza medicine, affamati, perché il “dio-uomo” si è impadronito del Creato».

Sono loro che pagano tutte le colpe, «questa gente, questi bambini affamati, ammalati, che sembra che non contino, che siano di un’altra specie, che non siano umani». Sono la «moltitudine» che è davanti a Dio e chiede «“Per favore, salvezza, pace, pane, lavoro», per i «figli e i nonni», per «i giovani con la dignità di poter lavorare», per coloro «che sono perseguitati per la fede». «Oggi, senza esagerare, oggi giorno di tutti i santi – ha aggiunto il Papa che alla fine della celebrazione ha sostato davanti alle reliquie di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II – vorrei che noi lo dedicassimo a tutti questi santi sconosciuti, peccatori come noi, peggio di noi, a questa tanta gente che viene dalla grande tribolazione».

Ma è la «speranza» ha concluso il Papa, che ci salva dalla devastazione. Una «benedizione che ancora abbiamo», che Egli «abbia pietà di questi che sono nella grande tribolazione» e «anche dei distruttori, affinché si convertano». Dal Vangelo del giorno, infine, è arrivata la via maestra attraverso la quale far parte del popolo che «cammina verso il Padre»: quella delle beatitudini. «Soltanto quel cammino ci porterà avanti. E così, questo popolo che tanto soffre oggi per l’egoismo dei devastatori, dei nostri fratelli devastatori, questo popolo va avanti con le Beatitudini, con la speranza di trovare Dio, di trovare a quattr’occhi il Signore, con la speranza di diventare santi, in quel momento dell’incontro definitivo con Lui».

 

3 ottobre 2014