Il Papa ai preti di Roma: «Mi sento in cammino con voi»

Da Lisbona, il messaggio al clero della sua diocesi, rinnovando il suo “grazie” e mettendo in guardia da alcuni pericoli. A cominciare dalla mondanità spirituale

Porta la data del 5 agosto, memoria della dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore, la lettera che Francesco ha indirizzato, da Lisbona, ai sacerdoti di Roma. «Un pensiero di accompagnamento e di amicizia, che spero possa sostenervi mentre portate avanti il vostro ministero, con il suo carico di gioie e di fatiche, di speranze e di delusioni», scrive. Indicando come modello Gesù, che «guardava gli apostoli, senza esigere da loro una tabella di marcia dettata dal criterio dell’efficienza, ma offrendo attenzioni e ristoro», il Papa rinnova ai suoi preti anzitutto il suo “grazie”, come aveva già fatto nella Messa del crisma, il 6 aprile scorso.

D’altronde, scrive, «il nostro ministero sacerdotale non si misura sui successi pastorali. Al cuore della nostra vita non c’è nemmeno la frenesia delle attività, ma il rimanere nel Signore per portare frutto (cfr Gv 15). È Lui il nostro ristoro (cfr Mt 11,28-29). E la tenerezza che ci consola scaturisce dalla sua misericordia, dall’accogliere il “magis” della sua grazia, che ci permette di andare avanti nel lavoro apostolico, di sopportare gli insuccessi e i fallimenti, di gioire con semplicità di cuore, di essere miti e pazienti, di ripartire e ricominciare sempre, di tendere la mano agli altri».

La fraternità, osserva Bergoglio,  «conforta, offre spazi di libertà interiore e non ci fa sentire soli davanti alle sfide del ministero. È con questo spirito che vi scrivo – prosegue -. Mi sento in cammino con voi e vorrei farvi sentire che vi sono vicino nelle gioie e nelle sofferenze, nei progetti e nelle fatiche, nelle amarezze e nelle consolazioni pastorali. Soprattutto condivido con voi il desiderio di comunione, affettiva ed effettiva, mentre offro la mia preghiera quotidiana perché questa nostra madre Chiesa di Roma, chiamata a presiedere nella carità, coltivi il prezioso dono della comunione anzitutto in sé stessa, facendolo germogliare nelle diverse realtà e sensibilità che la compongono». La Chiesa di Roma, è l’auspicio, «sia per tutti esempio di compassione e di speranza, con i suoi pastori sempre, proprio sempre, pronti e disponibili a elargire il perdono di Dio, come canali di misericordia che dissetano le aridità dell’uomo d’oggi».

Francesco si interroga quindi su «cosa ci chiede il Signore in questo nostro tempo». Nella preghiera, confida, «mi ritorna questo: che Dio ci chiede di andare a fondo nella lotta contro la mondanità spirituale». Un’esigenza prioritaria,  per il pontefice. «La mondanità spirituale è pericolosa – osserva – perché è un modo di vivere che riduce la spiritualità ad apparenza: ci porta a essere “mestieranti dello spirito”». Ciò accade «quando ci lasciamo affascinare dalle seduzioni dell’effimero, dalla mediocrità e dall’abitudinarietà, dalle tentazioni del potere e dell’influenza sociale. E, ancora, da vanagloria e narcisismo, da intransigenze dottrinali ed estetismi liturgici. Come non riconoscere in tutto ciò la versione aggiornata di quel formalismo ipocrita, che Gesù vedeva in certe autorità religiose del tempo e che nel corso della sua vita pubblica lo fece soffrire forse più di ogni altra cosa?».

Si tratta di «una tentazione “gentile” e per questo ancora più insidiosa. Si insinua infatti sapendosi nascondere bene dietro buone apparenze, addirittura dentro motivazioni “religiose”. E, anche se la riconosciamo e la allontaniamo da noi, prima o poi si ripresenta travestita in qualche altro modo». Il richiamo, allora, è alla «vigilanza interiore», a «custodire la mente e il cuore», ad «alimentare in noi il fuoco purificatore dello Spirito». Nel cuore dei pastori, poi, la mondanità spirituale assume la forma del «clericalismo. Scusate se lo ribadisco, ma da sacerdoti penso che mi capiate, perché anche voi condividete ciò in cui credete in modo accorato, secondo quel bel tratto tipicamente romano (romanesco!) per cui la sincerità delle labbra proviene dal cuore, e sa di cuore!  E io, da anziano e dal cuore – sono ancora le parole del Papa -, sento di dirvi che mi preoccupa quando ricadiamo nelle forme del clericalismo; quando, magari senza accorgercene, diamo a vedere alla gente di essere superiori, privilegiati, collocati “in alto” e quindi separati dal resto del Popolo santo di Dio».

Il clericalismo, insomma, è «sintomo di una vita sacerdotale e laicale tentata di vivere nel ruolo e non nel vincolo reale con Dio e i fratelli». Sintomo di «una malattia che ci fa perdere la memoria del Battesimo ricevuto». Ricordando quindi le parole del profeta Ezechiele ai pastori, Francesco evidenzia che il rischio è quello di «nutrire noi stessi e i nostri interessi, rivestendoci di una vita comoda e confortevole». Ancora, cita sant’Agostino per mettere in guardia dal rischio di «perde lo spirito sacerdotale, lo zelo per il servizio, l’anelito per la cura del popolo, finendo per ragionare secondo la stoltezza mondana», con la preoccupazione che si concentra sull’io. «Questo accade nella vita di chi scivola nel clericalismo: perde lo spirito della lode perché ha smarrito il senso della grazia, lo stupore per la gratuità con cui Dio lo ama. Solo quando viviamo in questa gratuità, possiamo vivere il ministero e le relazioni pastorali nello spirito del servizio, secondo le parole di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)».

L’antidoto quotidiano a mondanità è clericalismo è a «guardare a Gesù crocifisso, fissare gli occhi ogni giorno su di Lui che ha svuotato sé stesso e si è umiliato per noi fino alla morte (cfr Fil 2,7-8). Guardando le piaghe di Gesù, guardando Lui umiliato, impariamo che siamo chiamati a offrire noi stessi, a farci pane spezzato per chi ha fame, a condividere il cammino di chi è affaticato e oppresso. Questo è lo spirito sacerdotale – rimarca -: farci servi del Popolo di Dio e non padroni, lavare i piedi ai fratelli e non schiacciarli sotto i nostri piedi». Ma il clericalismo, prosegue la riflessione del Papa, «può riguardare anche i laici e gli operatori pastorali: si può assumere infatti “uno spirito clericale” nel portare avanti i ministeri e i carismi, vivendo la propria chiamata in modo elitario, chiudendosi nel proprio gruppo ed erigendo muri verso l’esterno. E i sintomi sono proprio la perdita dello spirito della lode e della gratuità gioiosa, mentre il diavolo s’insinua alimentando la lamentela, la negatività e l’insoddisfazione cronica per ciò che non va, l’ironia che diventa cinismo».

Nonostante tutto, Francesco invita a non scoraggiarsi, «nelle nostre fragilità e nelle nostre inadeguatezze, così come nella crisi odierna della fede». Quindi l’esortazione: «Rimbocchiamoci le maniche e pieghiamo le ginocchia (voi che potete!): preghiamo lo Spirito gli uni per gli altri, chiediamogli di aiutarci a non cadere, nella vita personale come nell’azione pastorale, in quell’apparenza religiosa piena di tante cose ma vuota di Dio, per non essere funzionari del sacro, ma appassionati annunciatori del Vangelo, non “chierici di Stato”, ma pastori del popolo. Abbiamo bisogno di conversione personale e pastorale».

Da ultimo, un “grazie” «per l’accoglienza che vorrete riservare a queste mie parole, meditandole nella preghiera e di fronte a Gesù nell’adorazione quotidiana; posso dirvi che mi sono venute dal cuore e dall’affetto che ho per voi. Andiamo avanti con entusiasmo e coraggio – l’invito -: lavoriamo insieme, tra preti e con i fratelli e le sorelle laici, avviando forme e percorsi sinodali, che ci aiutino a spogliarci delle nostre sicurezze mondane e “clericali” per cercare, con umiltà, vie pastorali ispirate dallo Spirito, perché la consolazione del Signore arrivi davvero a tutti. Davanti all’immagine della Salus Populi Romani – conclude – ho pregato per voi. Ho chiesto alla Madonna di custodirvi e di proteggervi, di asciugare le vostre lacrime segrete, di ravvivare in voi la gioia del ministero e di rendervi ogni giorno pastori innamorati di Gesù, pronti a dare la vita senza misura per amore suo. Grazie per quello che fate e per quello che siete. Vi benedico e vi accompagno con la preghiera. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me».

7 agosto 2023