Il Papa: «Adorare Dio e amare i fratelli, questa la grande e perenne riforma della Chiesa»
A San Pietro la Messa che ha concluso la prima tappa del Sinodo. L’indicazione di rotta: «Adorare e servire», per essere una «Chiesa che lava i piedi all’umanità ferita, che non esige una pagella di buona condotta. Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia»
Ripartire dall’amore, verso Dio e verso il prossimo. Il Vangelo della XXX domenica del tempo ordinario ha offerto a Papa Francesco lo spunto per tirare le somme della prima parte del Sinodo sulla sinodalità, dopo oltre tre settimane di confronto e discernimento. La solenne celebrazione eucaristica nella basilica di San Pietro ha concluso ieri, 29 ottobre, l’assemblea sinodale che la sera prima aveva visto l’approvazione della relazione di sintesi a larghissima maggioranza. L’appuntamento è per il prossimo autunno, dopo un’ulteriore fase di studio e confronto a livello locale sugli spunti offerti dall’assemblea di quest’anno perché, come ha detto il Papa terminando l’omelia, «oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi: il Signore ci guiderà e ci aiuterà a essere Chiesa più sinodale e più missionaria».
Dunque l’amore come paradigma della Chiesa: «A conclusione di questo tratto di cammino che abbiamo percorso, è importante guardare al “principio e fondamento” da cui tutto comincia e ricomincia: amare. Amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi. Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto», ha sottolineato il pontefice. Che ha poi proposto due modi di mettere in pratica questo amore: «Adorare e servire. Amare Dio si fa con l’adorazione e con il servizio». L’adorazione, ha spiegato, «è la prima risposta che possiamo offrire all’amore gratuito, sorprendente di Dio. Lo stupore dell’adorazione è essenziale nella Chiesa, soprattutto in questo momento in cui abbiamo perso l’abitudine dell’adorazione. Adorare, infatti, significa riconoscere nella fede che solo Dio è il Signore e che dalla tenerezza del suo amore dipendono le nostre vite, il cammino della Chiesa, le sorti della storia. Lui è il senso del vivere». Un’adorazione in cui «ci riscopriamo liberi» e possiamo lottare contro ogni idolatria, compresa quella subdola che ci porta a «manipolare» Dio, a pretendere che si comporti come noi vogliamo, che adempia ogni nostro desiderio e a rimanere delusi se ciò non accade, se Dio ha altri piani.
Il Papa ha invitato a lottare contro le idolatrie «mondane, che spesso derivano dalla vanagloria personale, come la brama del successo, l’affermazione di sé ad ogni costo, l’avidità di denaro, il fascino del carrierismo», ma anche contro quelle «camuffate di spiritualità: la mia spiritualità, le mie idee religiose, la mia bravura pastorale… Vigiliamo, perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che Lui». Per questo ha ribadito che l’adorazione è centrale «per noi pastori: dedichiamo tempo ogni giorno all’intimità con Gesù buon Pastore davanti al tabernacolo. Adorare. La Chiesa sia adoratrice: in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità si adori il Signore!».
Poi, il servizio. «Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo. Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri – ha detto il pontefice -. Penso a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce. E penso a quante volte, dietro a belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle. È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società. Siamo chiamati a sognare una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi – ha concluso il Papa -. Una Chiesa che non esige mai una pagella di “buona condotta”, ma accoglie, serve, ama, perdona. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia».
30 ottobre 2023