Il pane che nutre è condito da una Parola di libertà

Il deserto sperimentato da Gesù e quello degli antichi padri dell’Esodo. La prova del digiuno e della fame, la debolezza di chi ha bisogno e la tentazione

«Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano e fu condotto nello Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono portati a termine, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”. Gesù gli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo”». Dopo che Gesù fu battezzato da Giovanni, nelle acque del Giordano, lo vediamo portarsi nel deserto. Da quelle acque Gesù aveva ricevuto anche lo Spirito ed è Esso che, adesso, lo spinge nel deserto.

E come non ricordare, subito, altre acque, quelle del Mar dei Giunchi che gli antichi padri dell’Esodo avevano, a loro volta, attraversato, prima di entrare nel tunnel senza fine del deserto? Il Vangelo non dice come mai Gesù restasse in quel luogo ostile per ben quaranta giorni. In realtà il deserto di Giuda non è così sconfinato da non poter essere attraversato in un tempo molto più breve. Tutto concorre a far pensare che i quaranta giorni della narrazione lucana abbiano una finalità evocativa e un carattere simbolico della memoria dei quarant’anni di Israele nel deserto.

L’esperienza che Gesù farà in questi quaranta giorni mostrerà ancora una volta la sua piena umanità, in questo caso l’umanità di un ebreo che fa memoria di quanto hanno vissuto i suoi padri, i quali impararono a conoscere il loro Dio e si legarono a lui, proprio nel deserto. La prova del deserto è quella del digiuno e della fame. E proprio qui scatta la tentazione: quando il “Figlio dell’Uomo” si trova a essere nella debolezza di chi ha bisogno. La fame di Gesù lo rende interprete della fame dell’umanità da cui dipendono la vita e la morte, la pace e la guerra, l’odio o l’amore, nel mondo di ieri e di oggi.

A causa della carestia i fratelli di Giuseppe scesero in Egitto e quel loro reiterato viaggio portò, infine, alla vita e all’amore ritrovato in tutta la famiglia; per mancanza di pane anche Rut e Noemi fecero un viaggio a Betlemme e dal loro audace sodalizio la città di Betlemme riacquistò la sua vocazione: quella di essere “casa del pane”. Ma Gesù è solo in questo deserto e non ha con chi allearsi per vincere insieme lealmente la fame. Ed ecco la visione di un falso alleato: il diavolo. Egli sfida Gesù sull’orgoglio del suo essere Figlio di Dio, proprio quando Egli sta affondando nella fame dei figli dell’uomo. Lo mette alla prova proprio sulla sua identità divina. Che Figlio di Dio sarebbe se non potesse fare il miracolo di trasformare le pietre in pane? Perché non usa quel potere? Perché non dimostra la forza di un Dio?

La tentazione dovette essere davvero grande per Gesù anche perché, dopo quaranta giorni di digiuno, avrebbe mangiato anche le pietre! Perché non dice di sì alla tentazione? Perché conosce la storia dell’Esodo e sa che «non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8, 3). Sa che per il pane non si può, tuttavia, restare schiavi. Che il pane che nutre è condito di una Parola di fraternità, di libertà, di giustizia.

12 ottobre 2021