Il nuovo anno accademico dell’Ecclesia Mater, all’insegna della “speranza”

L’inaugurazione con il vicario Reina. «Una diocesi deve splendere nella proposta e nell’annuncio della verità», le sue parole. La prolusione del rettore della Pul Amarante: l’«anelito all’infinito» dell’uomo

Richiamando e sottolineando l’adeguatezza «geniale» dell’associazione «tra il termine speranza e il simbolo dell’ancora che tanto più è pesante, tanto più rende sicura e forte una barca», il cardinale vicario Baldo Reina ha rivolto ieri sera, 13 gennaio, «un incoraggiamento ad andare avanti alla luce del tema centrale del Giubileo» all’Istituto superiore di Scienze religiose Ecclesia Mater, di piazza di San Giovanni in Laterano, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico. «Una diocesi deve splendere nella proposta e nell’annuncio della verità contro il superficialismo e il rischio odierno di ragionare per slogan – ha detto nel suo saluto iniziale -. C’è bisogno di approfondire perché approfondendo si può avere un pensiero più forte e questo è il servizio che questo Istituto, che afferisce all’Università del Santo Padre, può offrire alla verità, con un’offerta formativa che dia una possibilità di capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di speranza e in che modo Dio può diventare la mia speranza».

Anche la preside dell’Ecclesia Mater Claudia Caneva nel suo saluto di benvenuto ha sottolineato come «questa istituzione al servizio della diocesi» miri a favorire «la circolarità tra i saperi e una sintesi culturale idonea tra il Vangelo e le sfide del tempo presente, caratterizzato da ansia e rassegnazione». Si tratta di «nutrire la speranza, che è un impulso alla trasformazione e il fermento del cuore che non cessa di sognare il futuro», ha messo ancora in luce Caneva, mentre il decano della facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense Angelo Lameri ha evidenziato il legame tra i due enti di formazione, «che va al di là dei semplici adempimenti statutari», e la sintonia di intenti per «favorire la presenza del Vangelo nella società».

A tenere la prolusione su “La speranza non delude”, riprendendo il titolo della Bolla di indizione dell’Anno Santo di Papa Francesco, è stato il magnifico rettore della Pul Alfonso Amarante. «La speranza ha a che fare con la destinazione stessa dell’essere dell’uomo in viaggio», laddove «se mancasse il senso direzionale il viaggio resterebbe mutilato», ha detto. In particolare, ha chiarito, «la parola speranza, colma di profondità semantica, si distingue dall’ottimismo, che ha un carattere contingente», laddove «esplica un augurio ma con la certezza assoluta che si proceda verso una destinazione che ci trascende». Dunque di fronte alla «disperazione e alla morte, eventi senza possibilità di ritorno», la speranza dice di quell’«anelito all’infinito» proprio esclusivamente dell’uomo che oggi, «con il dilatarsi del pensiero debole», sperimenta «il problema urgente del significato e del senso della vita», sono ancora le parole di Amarante.

Da qui la provocazione del rettore: «La vita ha senso se non c’è speranza poiché la morte appare il limite? Che senso ha vivere se il male e la morte vincono sull’essere?». Per offrire una risposta Amarante ha offerto «tre quadri», a partire da quello «biblico, in particolare offerto da san Paolo – ha chiarito -. Per l’Apostolo delle genti la speranza cristiana è fiducia, perché la speranza di Dio è già realizzata, è apertura a Dio, ossia coraggio di testimoniarlo, è insieme attesa, ovvero caparra per la vita futura, e anche costanza e resistenza». Ancora, Amarante ha guardato a Charls Peguy, spiegando come «la speranza va interpretata anche con le categorie della letteratura» e che l’autore francese «ha affrontato il tema dell’homo sperans», così come Gabriel Marcel ha offerto un approccio filosofico esistenziale definendo la speranza «esperienza possibile solo nell’uomo, homo viator, per il senso di mistero e di anelito che lo caratterizza». Allora, «la speranza è la capacità dell’uomo di spingersi oltre in nome di una nostalgia di un incontro con Dio», ha concluso, e «la morte non è l’ultima parola perché se lo fosse anche la dimensione della speranza imploderebbe».

Al termine dell’evento – che è stato animato dagli interventi di alcuni membri dell’Istituto “Magnificat”, la scuola di musica gestita a Gerusalemme dai Francescani della Custodia di Terra Santa che offre un’alta formazione accademica agli allievi locali favorendo una coesistenza pacifica tra gruppi etnici e religiosi – hanno portato il loro saluto il neoeletto vicepreside dell’Istituto, don Davide Lees, e il vescovo Michele Di Tolve, delegato diocesano per l’ambito dell’Educazione. Il primo ha espresso gratitudine «per la fiducia che mi è stata data per la responsabilità a cui sono stato chiamato e che accolgo con gioia e, insieme, con trepidazione» mentre il presule ha auspicato che «il nuovo anno accademico» favorisca «la possibilità sempre maggiore di un dialogo che va fatto con e a partire dalle identità delle singole e proprie peculiarità».

14 gennaio 2025