Il Natale in Ucraina raccontato dall’arcivescovo maggiore Shevchuk

L’intervista a Sir e Avvenire. «Tanti festeggeranno la nascita di Cristo nei rifugi, intonando canti natalizi mentre all’esterno sentiranno il rumore di missili o droni»

Parla al Sir e ad Avvenire, nella sua residenza accanto alla cattedrale della Risurrezione, a Kiev, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk. E racconta il secondo Natale in guerra dell’Ucraina. «Tanti – dice – festeggeranno la nascita di Cristo nei rifugi antiaerei, intonando canti natalizi mentre all’esterno sentiranno il rumore dei missili o dei droni. Perché proprio durante le feste più importanti i russi intensificano gli attacchi. Ma il Natale ci sarà – aggiunge – e noi lo celebreremo come un momento della consolazione».

Nelle parole del presule, la testimonianza della «grande ferita» che la guerra sta causando nel popolo ucraino. «Non c’è famiglia che non pianga qualcuno caduto in combattimento. O che non viva con apprensione e paura la situazione di un figlio o di un marito che sta combattendo sul fronte – rileva -. C’è una domanda forte che emerge spesso: è lecito gioire in queste condizioni? È lecito festeggiare, mentre qualcuno piange?». E prosegue: «Abbiamo necessità di accendere in mezzo alle tenebre la luce della gioia che il Natale ci dona. Non una gioia mondana che scaturisce dall’uomo, ma una gioia che viene da Dio e che ci dice che non siamo soli».

Nell’intervista si tocca il tema del primo Natale che l’Ucraina celebra insieme all’Occidente, il 25 dicembre, del ruolo della diplomazia e in particolare di quella della Santa Sede. «Siamo veramente grati a Papa Francesco per la missione concreta affidata al cardinale Matteo Zuppi – dichiara -. È una missione che non tocca il versante militare ma ha al centro una serie di questioni umanitarie quanto mai significative. Penso alla tragedia dei bambini deportati in Russia di cui quasi nessuno si occupa, invece è veramente importante. Oppure penso alle tematiche ecologiche che sono sempre dimenticate in un contesto di guerra. O ancora, penso all’assistenza al popolo ucraino attraverso gli aiuti che vengono inviati o attraverso gli appelli all’accoglienza verso i nostri profughi. I continui richiami del Papa alla “martoriata Ucraina” – aggiunge – sono un invito alla preghiera ma anche un monito a non dimenticare la nostra gente. Certo è che la diplomazia oggi ha veramente bisogno di un risveglio».

Guardando all’inverno appena iniziato, il timore è quello dell’«emergenza alimentare». Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina parla di «un intero Paese che ha urgenza di essere sfamato. Come comunità ecclesiale stiamo imparando a gestire questa immensa crisi umanitaria, la più grande in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Tanti aiuti sono arrivati sulla scia di un’onda emotiva. Adesso serve ripetere che non bisogna voltarsi dall’altra parte. E i cristiani d’Europa sono chiamati a dare una testimonianza profetica».

Da ultimo, all’arcivescovo si chiede uno sguardo sul futuro del conflitto. «Non si prevede un termine corto», risponde, aggiungendo che «affinché il conflitto si fermi, occorre la conversione dell’aggressione. Umanamente appare impossibile, ma dal punto di vista cristiano tutto può succedere». Mai rassegnarsi.

22 dicembre 2023