Il «mistero antico» della poesia di Toni

Uscito grazie all’iniziativa della moglie Patrizia La Via “Tempo d’opera”: più di un libro postumo, una raccolta finale in cui registrare l’intero suo percorso. Fino alla conquista del “plurale”

Scomparso il 6 aprile 2019 a sessantacinque anni, Alberto Toni, poeta romano di vocazione universale, ha sempre lasciato filtrare nei suoi versi, forse perché così a lungo minato dal male, il sentimento di un’ineluttabile distanza dalle cose del mondo: «Finiamo per dimenticare i luoghi / che abbiamo visitato. / Il viaggio continua – andiamo / senza sapere» scriveva già in Dogali nell’ormai lontano 1997, continuando a credere, tanti anni dopo, insieme a V. S. Naipaul, che «tutti i paesaggi, in fondo, esistono solo nella fantasia». Ma tale inclinazione interiore non produceva in lui il classico disincanto degli antichi, né vanificava il suo procedere onesto: nella vita insegnò materie letterarie a scuola, come lirico sprigionava nella scrittura curatissima e sorvegliata una semantica diffusa di tradizione italiana novecentesca (laureato con una tesi su Sandro Penna) con echi e assonanze difficili da fermare una volta per tutte. Chi provasse a farlo rischierebbe di smarrirsi nel vuoto. Contano invece il battito del cuore, la scansione delle parti, le molteplici ruote del destino, intraviste e mai celebrate.

È come se il ritmo di una laboriosa processione esistenziale fosse stato sempre presente in lui sin dalla raccolta d’esordio, targata 1987, La chiara immagine (premio L’isola di Arturo – Elsa Morante), al tempo in cui collaborava alle pagine culturali di “Paese Sera”. Ecco perché Tempo d’opera (Il ramo e la foglia edizioni, 13 euro), uscito grazie alla preziosa iniziativa della moglie Patrizia La Via, è più di un libro postumo; in questa raccolta finale, recuperata in un file in formato Word, possiamo registrare davvero, come scrive Roberto Deidier nella sua lucida e commossa introduzione, «l’intero percorso di Alberto Toni nella poesia». Andare avanti senza sapere dove, per l’appunto, spinti dall’energia cinetica mista a una specie di pazza luce che ci fa chiedere, con piglio nuovo e trepidante: «Tenevamo gli uni per gli altri? Fino all’ultimo / ho sperato, imparavo, c’è tanto da imparare». Quanto inespresso resta dentro il nocciolo di questa domanda essenziale! Poco più in là, abbiamo la sensazione di una ricerca inesausta: «Potremmo non disperderci mai». E subito dopo, come in clausura: «Essere / presi per mano un giorno». Sono tre passaggi importanti sui quali riflettere, senza voler per forza trovare l’unica definizione. Nella consapevolezza, infine scrutinata in una dolce memoria dantesca, che «l’amore muove il tempo, muove me, / muove la pace già precaria dello stare…».

È dunque nella conquista del plurale, argine alla possibile deriva e atrofia dell’io, che Alberto Toni decifrò, sulla soglia fatale, il vecchio messaggio da custodire e consegnare, evitando di assegnare nomi fissi all’emozione intensa e lacerante della finitudine, ma sentenziandola così: «Siamo dentro un mistero antico, non soltanto / il viso caro / che perdiamo».

14 dicembre 2022