Il Mediterraneo, mare di «accoglienza»

All’Incontro Cei, la relazione introduttiva di Pina De Simone (Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale). «Messa a rischio» la presenza dei cristiani»

Nella seconda giornata dell’incontro Cei di Bari su “Mediterraneo, frontiera di pace”, oggi 20 febbraio, affidata alla teologa Pina De Simone la relazione introduttiva. E proprio dal «riemergente di preoccupanti istanze teocratiche» nel Mediterraneo ha preso le mosse l’intervento di De Simone, coordinatrice del biennio di specializzazione in Teologia fondamentale della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale sezione San Luigi. Non solo «in quei Paesi del Medio Oriente o dell’Africa che vivono una crescente islamizzazione dello Stato e il potere devastante di organizzazioni terroristiche, o in alcuni Paesi dell’est Europa» ma pure «nei Paesi occidentali che sperimentano un tempo di disorientamento» e che «rispondono ai flussi migratori irrigidendo i confini, chiudendo porti e valichi e negando ogni possibilità di accoglienza. Quando tutto traballa – ha spiegato – “ci si aggrappa alla corda di Dio” per affermare disperatamente la propria identità, e anche in terre dove la convivenza pacifica tra etnie e tradizioni diverse era quotidianità, si invoca, in maniera implicita o esplicita, una “pulizia etnica” ammantata di sacralità e di difesa delle proprie tradizioni».

Nell’analisi di De Simone, è così che «un patrimonio di umanità si frantuma, proprio come i templi, gli edifici, le opere d’arte fatte saltare in aria e come le case distrutte in alcuni luoghi. Il fondamentalismo ovunque si dia e qualunque sia la forma in cui prende corpo, anche quando si fa strada nella vita della Chiesa, è sempre una sconfitta della fede e una negazione della capacità umanizzante dell’esperienza di Dio». Senza contare «quelle situazioni in cui, pur senza toccare gli estremi del fondamentalismo, la religione viene a coincidere totalmente con la tradizione nazionale, per un processo storico culturale o sotto la spinta di strumentalizzazioni politiche». Per la teologa, portato «tanto dei fondamentalismi religiosi quanto, in alcuni casi, del processo di razionalizzazione messo in atto dalla modernità», è poi la «messa in discussione, troppo spesso drammatica, della libertà religiosa». De Simone ha denunciato «la persecuzione, o anche la semplice discriminazione – che nei confronti dei cristiani sta conoscendo una crescita esponenziale nell’indifferenza generale – e il martirio di molti, cristiani e non solo, uccisi unicamente a motivo della loro fede». Quella religiosa, invece, è una libertà «che va riconosciuta a tutti: ai cristiani e ai credenti di altra tradizione religiosa; perché è solo nel rispetto della diversità delle fedi, così come dell’assenza di una fede, che si afferma il senso profondo dell’umano e si può vivere un’autentica esperienza di Dio».

Per trasmettere la fede alle nuove generazioni allora uno dei criteri indicati dalla relatrice è «mettere al centro l’esperienza, stando in mezzo alla gente». Essere «etnografi spirituali»: questo il consiglio dato ai vescovi, impegnati oggi nel loro primo tavolo di confronto a porte chiuse, nella storica sede del Castello Svevo. In un Mediterraneo definito «mare del meticciato», per De Simone occorre «uscire da schemi di contrapposizione e testimoniare una fede che è di per sé accogliente», come dimostra il «forte senso di comunità» che caratterizza i popoli che abitano il Mare Nostrum. Un esempio su tutti: «Le tante esperienze di accoglienza dello straniero e di convivenza pacifica tra persone di fede diversa che hanno visto e ancora vedono coinvolta la gente comune nella semplicità dei gesti quotidiani, al di là di ogni forzata contrapposizione ideologica e politica, e che sono vissute non mettendo tra parentesi la propria fede ma proprio a partire da questa».

Nell’intervento di De Simone anche l’omaggio a quelle comunità ecclesiali la cui esistenza è «messa a rischio», che sono «esempio di fedeltà al Vangelo»: Chiese «di minoranza», le ha definite, ma «dal carattere universale», grazie al «pullulare di lingue, culture, etnie. Come accade in Grecia – ha commentato -, dove il numero dei cattolici si è quadruplicato negli ultimi anni. O in Turchia, dove i profughi cristiani, che i giochi dei potenti hanno portato lì, sono persone che hanno perso tutto ma sono rimasti fedeli a Cristo e sono portatori di antiche e significative tradizioni». Ma anche «in Marocco, dove i cattolici provengono da oltre 100 Paesi e da tutti i continenti e dove l’impegno è incontrarsi, conoscersi, rispettarsi, amarsi, trasformare le differenze in arricchimento e testimoniare con la vita che l’umanità è una famiglia, la famiglia dei figli di Dio». Senza contare «le scuole interetniche di Sarajevo, l’impegno formativo della Chiesa in Terra Santa, il lavoro educativo che nella semplicità viene portato avanti da parrocchie e ordini religiosi in tanti luoghi del Mediterraneo e che è per tutti senza distinzione alcuna». Questo essere « Chiesa dell’incontro», ha spiegato ancora la teologa, vuol dire offrire ai giovani itinerari formativi che li aiutino prima di tutto ad «attraversare le paure: la paura di perdere la propria identità, la paura che cambino le cose, la paura di lasciarsi cambiare». Una Chiesa che «sta in mezzo» al Mediterraneo, ha concluso«sta dalla parte degli ultimi e dei poveri. Come questo mare su cui si affacciano i nostri Paesi».

20 febbraio 2020