50 anni fa, il 5 giugno 1967, prendeva avvio la Guerra dei Sei giorni: Israele mostrava i muscoli ai suoi “vicini” arabi, Egitto, Giordania e Siria. «Il conflitto ha cambiato completamente gli scenari dell’area. Israele ha mostrato la sua forza militare e la sua efficienza al mondo arabo. Quest’ultimo ha incassato la sconfitta e compreso i suoi limiti», commenta Janiki Cingoli, presidente del Cipmo, il Centro italiano per la pace in Medio Oriente, che alla Guerra dei Sei giorni dedica un evento in programma domani, mercoledì 7 giugno, a Milano intitolato “A 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni: il Medio Oriente ai tempi di Trump”.

«In questo lungo tempo i tentativi di risolvere il conflitto-israelo-palestinese si sono bloccati. La Comunità internazionale appare sempre più orientata a un management del conflitto piuttosto che a una sua soluzione – le parole di Cingoli, raggiunto dall’Agenzia Sir -, anche perché, con altre gravi crisi scoppiate nel quadrante mediorientale, Siria, Iraq, Yemen e Libia, quella israelo-palestinese appare sempre più marginale». Ancora, sulla questione per il presidente Cipmo grava anche il conflitto tra area sunnita, a guida saudita, e quella sciita, a guida iraniana: «Trump con la sua recente missione in Medio Oriente ha puntato a rilanciare le alleanze Usa nella Regione e a costruire un asse tra Stati arabi sunniti e Israele per contenere, non distruggere, l’espansionismo iraniano (Iraq, Siria e Hezbollah) e la presenza russa sempre più incisiva e determinante».

6 giugno 2017