“Il mago di Lublino”, Singer e l’equilibrio incompiuto

Premio Nobel per la letteratura nel 1978, l’autore racconta la lotta fra legge e libertà, calcolo e istinto, fondendo il magistero dei padri e la sensibilità moderna

Molti dei romanzi di Isaac Bashevis Singer (Leoncin, 1909-Miami, 1991), premio Nobel per la letteratura nel 1978, raccontano la storia di un libertino che diventa penitente. La lotta fra legge e libertà, calcolo e istinto non finirà mai. Fra le sue opere più riuscite in tale prospettiva è “Il mago di Lublino”, riproposto da Adelphi nella nuova traduzione di Katia Bagnoli. Apparso per la prima volta nel 1959 sulle pagine del “Forverts”, rivista newyorchese in lingua yiddish rivolta agli immigrati ebrei in riva all’Oceano, venne pubblicato in inglese l’anno successivo, suscitando al tempo stesso l’entusiasmo del pubblico americano e lo sconcerto di numerosi lettori legati alle antiche costumanze della Torah. Questo sarà sempre il destino del grande scrittore polacco vissuto negli States, dopo essere sfuggito alla persecuzione nazista, capace di fondere come pochi il magistero dei padri con la nuova sensibilità moderna.

Yasha Mazur, soprannominato Mago di Lublino, è il classico personaggio singeriano, diviso fra la terra e il cielo, alla perpetua ricerca di un equilibrio destinato a restare incompiuto: illusionista e ipnotizzatore, saltimbanco e scassinatore, se ne va in giro per il Paese, da Varsavia a Piask, insieme a Magda, assistente perdutamente innamorata di lui, a fare i suoi spettacoli, pronto a tornare a casa dalla fedele moglie Ester. Senza tuttavia dimenticare Emilia, vedova che lo vorrebbe convertire al cattolicesimo, civettando persino con la sua giovane figlia. Come se non bastasse, ogni tanto fa capolino Zeftel: neppure a lei l’irresistibile prestigiatore riesce a dire di no.

Colpisce in questa narrazione fluente e scandita, secondo il ritmo imposto dalle puntate del giornale, la densità delle rievocazioni degli ambienti urbani e rurali. Quando viaggia in carrozza nella sera incipiente, Yasha assorbe tutta l’energia dello spazio che attraversa: «La rugiada cadeva come farina da un setaccio celeste e dal terreno si alzava un fruscio, come di invisibili chicchi versati dentro un mulino… Persino le cavalle ogni tanto voltavano la testa. Pareva di sentire le radici succhiare dalla terra, gli steli crescere, i corsi d’acqua sotterranei scorrere». Ma anche nel momento in cui descrive gli interni, non dimentica mai quello che accade fuori: «La casa era vecchia. Nel cortile sterrato schiamazzavano le oche, starnazzavano le anatre, cantavano i galli, proprio come in campagna. Dalla finestra aperta entravano brezze dalla Vistola e dalla foresta».

L’irrefrenabile forza del mondo preme dentro l’animo del protagonista, schiavo del suo stesso desiderio che lo esalta e distrugge. Lo straordinario Epilogo nel quale Yasha, dopo il suicidio di Magda, decide di isolarsi dentro la propria abitazione, nel tentativo di emendarsi dalle sue colpe, è forse uno dei risultati più intensi mai raggiunti da Singer: lirico, amaro, patetico e tuttavia aperto alla speranza. Il povero mago, comico e tragico, parla con Satana, fronteggiando come meglio può le passioni recrudescenti che lo hanno spolpato riducendolo sul lastrico. Così diventa una specie di eremita i cui consigli paradossalmente tutti ricercano: «Aveva stabilito di ricevere la gente soltanto per due ore al giorno, invece finì con lo stare davanti alla finestrella dall’alba al tramonto». Sino alla più lucida e disincantata delle conclusioni: «Chi sceglie di vedere vede ogni cosa».

21 settembre 2020