Il “Magma” della BabelNova Orchestra
Il 19 giugno, l’orchestra che integra 12 musicisti da varie parti del mondo in concerto gratuito alla Città dell’Altra Economia per la Giornata mondiale del rifugiato
Metti 12 musicisti da varie parti del mondo, la voglia di integrare e sperimentare, ed ecco la BabelNova Orchestra, una nuova formazione composta dagli ex musicisti dell’Orchestra di Piazza Vittorio, testimoni ed eredi della musica world in Italia degli ultimi 20 anni, con un progetto che oggi vive una nuova era. Dopo il debutto sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo, nella serata dei duetti con Dargen D’Amico, l’ensemble calca il palco di Testaccio Estate domani, 19 giugno, alle 21, alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato, nell’ambito delle iniziative organizzate da Refugees welcome Italia, per presentare al pubblico il primo disco.
Un concerto speciale e gratuito alla Città dell’Altra Economia (ingresso largo Dino Frisullo) per far conoscere Magma, dieci brani per un album di mescolanze musicali, tra cumbia, esplosioni mariachi, reminiscenze sufi, fiati jazz, chitarre rockeggianti, ritmi dub e pop ma anche geografiche, che unisce lo scirocco e il meltemi, l’hurricane e lo zephiros. L’uso di lingue diverse (arabo, spagnolo, una lingua inventata) e i temi che emergono nell’album ne rispecchiano l’anima cosmopolita. I testi raccontano di rispetto per la Terra, amori lontani per donne e uomini dei Paesi che ci si è lasciati alle spalle, sentimenti non corrisposti, desiderio di pace e libertà ma anche ironia verso i poteri forti.
La BabelNova Orchestra è capitanata dal contrabbassista Pino Pecorelli, musicista che nel corso della propria carriera ha spaziato dal cinema al teatro, collaborando con artisti come Mario Martone, Avion Travel, Matthew Herbert, per citarne soltanto alcuni, e che abbiamo intervistato per l’occasione. Nell’ensemble ci sono anche il cantante, musicista e compositore tunisino Ziad Trabelsi, (direttore artistico di Almar’à – L’orchestra delle donne arabe e del Mediterraneo); il musicista e cantante ecuadoregno Carlos Paz; uno fra i migliori interpreti del canto sufi, il tunisino Houcine Ataa; il batterista, percussionista e cantante cubano Ernesto Lopez, (collaborazioni con Laura Pausini, Biagio Antonacci, Francesca Michielin, Enrico Rava); il chitarrista e autore di colonne sonore per il cinema e il teatro Emanuele Bultrini; il sassofonista, compositore e produttore Peppe D’Argenzio (fra i padri fondatori degli Avion Travel); il batterista Davide Savarese (componente stabile della band di Motta); il polistrumentista e arrangiatore Duilio Galioto (tastierista per Daniele Silvestri); l’argentino Raul Scebba, percussionista sinfonico (collaborazioni con Fiorella Mannoia, Javier Girotto, Aires Tango); il trombettista peruviano Roman Villanueva, (noto jazzista in Sud America); infine, il più giovane Simone Ndiaye, polistrumentista romano di origini senegalesi.
Più che un’Orchestra, siete una band, un collettivo alla pari, un mix di suoni, lingue e geografie.
L’idea nasce dai musicisti che hanno condiviso l’esperienza ventennale dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Abbiamo una nuova strada davanti, nel solco di quella precedente, ma nel frattempo la musica è cambiata e anche la società è più multietnica, non siamo un gruppo di stranieri ma di nuovi italiani che cantano e suonano gli strumenti delle proprie tradizioni, reinterpretandosi.
«La musica è cambiata», dicevi, la globalizzazione ha portato ad annullare quasi le provenienze musicali per fare un unico racconto. Possiamo dire che sia stato allo stesso modo un vantaggio sia per l’integrazione che per la musica stessa?
La musica la fanno gli esseri umani. Chiaramente c’è una forte volontà di raccontarsi, di cantare nelle proprie lingue, i propri suoni, ma per un tunisino è molto diverso scrivere un brano nel suo Paese che farlo qui con musicisti sudamericani con cui si è integrato da 20 anni. Per noi è naturale ormai mescolare i suoni. La nostra ambizione è di mescolare sempre di più, tant’è che abbiamo aperto ai giovani di seconda generazione, che cerchiamo di portare al nostro suono per far esplorare loro nuovi territori musicali.
Ma è più difficile far dialogare le culture o le età differenti?
Io credo che siano tutte e due cose facili e difficili allo stesso tempo. Dipende sempre da quanto è valorizzata la persona, sia culturalmente che musicalmente. Noi siamo una sorta di Babele al contrario, non cerchiamo una lingua unica per uniformarci, ma di far coesistere musica, esperienze, generazioni. Ed è bello questo scambio continuo, nessuno si sente subalterno, anche se i musicisti hanno tra i 25 e i 60 anni.
Parlaci del vostro “Magma”.
Mi piace sottolineare che si tratta di una scrittura corale. Molti brani sono scritti e pensati da persone diverse. Uno stesso brano passa di mano in mano, che vuol dire che magari da un sudamericano passa a un tunisino, poi a un italiano e poi a un senegalese. È normale che poi non capisci da dove effettivamente provenga quel suono. La globalizzazione nella musica va oltre l’integrazione, fa essere un tutt’uno.
18 giugno 2024