Il libro-testamento di Brouwers
“Il cliente Busken”, pubblicato 2 anni prima della morte, con la sua estrema forza espressiva, dà voce alla vena ribelle un po’ anarchica dell’autore, tra i più impostanti scrittori dei Paesi Bassi
Jeroen Brouwers nacque a Giacarta nel 1940 da genitori olandesi, trascorse parte dell’infanzia in un campo di concentramento giapponese, prima di trasferirsi nella patria originaria dove divenne col tempo uno dei più importanti scrittori dei Paesi Bassi, degno di stare accanto ai più famosi Harry Mulish o Cees Nooteboom, con una sua vena ribelle un po’ anarchica ben visibile in Il cliente Busken (Iperborea, traduzione di Claudia Di Palermo e Francesco Panzeri), libro-testamento pubblicato nel 2020, due anni prima della morte.
L’irresistibile voce solista dell’anziano e ben trasfigurato alter-ego dell’autore, ricoverato a Villa Madeleine, dove cerca di fronteggiare come può i propri malanni psicofisici, dovuti sia all’età, sia al carattere intransigente, sembrerebbe rinverdire in quest’opera i fasti del vecchio, glorioso monologo interiore novecentesco, se non lasciasse tuttavia trapelare una forma di supremo disincanto: «Quando pensi, devi essere consapevole di ciò che pensi e trattenerlo, altrimenti i pensieri si avviluppano l’uno con l’altro in associazioni arbitrarie, e questo non è pensare in modo lucido».
Nel flusso ininterrotto di una strepitosa prosa-poesia, solo un poco scandita dal ritmo narrativo dei brevi capitoli-poemetti, s’indovinano riconoscibili snodi tematici: una vita di sperperi, alle spalle diversi matrimoni falliti, vari talenti non messi a frutto, una madre dominante e dissoluta, la psicoterapeuta Carola, la fisioterapista Hilde… Ma ciò che conta non è tanto questo magma autobiografico d’incerta verità, attribuibile alla demenza senile, all’Alzheimer o semplicemente alla carica ironica e beffarda del personaggio, quanto il tragicomico presente del paziente sballottato di qua e di là, alla disperata ricerca dell’ultima cicca di sigaretta da consumare all’esterno dei padiglioni, sotto alla tettoia dei fumatori, insieme ad altri derelitti come lui.
I ricordi tornano struggenti, senza più gerarchia fra l’uno e l’altro: la memoria della regina Beatrice, incontrata per caso in un ricevimento, è forse meno importante di rapidi dettagli ai quali una volta non avremmo attribuito alcuna importanza e che invece adesso sembrano assumere un valore sorprendente, quasi rappresentassero il senso più profondo della vita. «Una festa in giardino, mezzo secolo fa o forse più, ricordo ancora la data esatta. Il mio mozzicone era finito nel laghetto impeccabile, dove costose abramidi erano subito comparse da sotto le ninfee per contenderselo, e una di quelle bestiacce arancioni se l’era ingurgitato».
Brouwers, autore prolifico e con ogni probabilità impetuoso e travolgente, pubblicò circa un’ottantina di volumi ma Il cliente Busken, nella sua estrema forza espressiva, esito finale di una lunga esistenza, è ben più che un epitaffio. Ci lascia intendere quale fosse stata la grandezza di uno scrittore purtroppo finora ancora poco noto in Italia