«Il grido dei poveri, insieme a quello della terra, ci è giunto dall’Amazzonia»

A San Pietro la Messa del Papa che ha concluso il Sinodo speciale, dopo tre settimane di dibattito. «Troppe volte anche nella Chiesa le voci degli ultimi non sono ascoltate»

La Messa presieduta nella basilica di San Pietro da Papa Francesco ha concluso il Sinodo speciale sull’Amazzonia, dopo tre settimane di dibattito che hanno aperto prospettive e dubbi sul futuro della Chiesa non solo in Sudamerica ma anche nel resto del mondo, con le richieste, contenute nel documento finale, di aprire all’ordinazione di uomini sposati, al diaconato femminile e a un rito amazzonico. Il Papa nella sua omelia, prendendo spunto dalle letture della Messa, ha messo a confronto tre stili di preghiera: quello del fariseo e del pubblicano, protagonisti della parabola del Vangelo, e quello del povero, richiamando la prima lettura. In particolare, in evidente relazione alle discussioni e alle conclusioni dell’Assemblea sinodale, Francesco ha voluto richiamare la pericolosità del sentirsi giusti e superiori agli altri, come il fariseo, che «elogia se stesso» e «pratica un’altra religione: la religione dell’io.  E tanti gruppi “illustri”, “cristiani cattolici”, vanno su questa strada. E oltre a Dio dimentica il prossimo, anzi lo  disprezza. Si  ritiene migliore degli altri, che chiama, letteralmente, “i rimanenti, i restanti”. Sono, cioè, “rimanenze”, sono scarti da cui prendere le distanze. Quante volte vediamo questa dinamica in atto nella vita e nella storia!».

Nel suo duro atto d’accusa, il Santo Padre ha continuato: «Ritenendoli (gli “scartati”) arretrati e di  poco valore, ne disprezza le tradizioni, ne cancella le storie, ne occupa  i territori, ne usurpa i beni. Quante presunte superiorità, che si tramutano in oppressioni e sfruttamenti, anche oggi; lo abbiamo visto nel Sinodo quando parlavamo dello sfruttamento del creato, della gente, degli abitanti dell’Amazzonia,  della tratta delle persone, del commercio delle persone! Gli errori del passato non son bastati per smettere di saccheggiare gli altri e  di infliggere ferite ai  nostri fratelli e alla nostra sorella terra: l’abbiamo visto nel volto  sfregiato dell’Amazzonia. La religione dell’io continua, ipocrita con i suoi riti e le sue  “preghiere” – tanti sono  cattolici,  si confessano cattolici ma  hanno dimenticato di essere cristiani e umani -, dimentica del vero culto a Dio, che passa sempre attraverso l’amore del  prossimo. Preghiamo – ha aggiunto il Papa – per chiedere la grazia di non ritenerci superiori, di non crederci a posto, di non diventare cinici e beffardi».

Al contrario, «la preghiera del pubblicano ci aiuta a capire che cosa è gradito a Dio. Egli non comincia dai suoi meriti ma dalle sue mancanze; non dalla sua ricchezza ma  dalla sua povertà: non una povertà economica ma «una povertà di vita, perché nel peccato non si vive mai bene. Quell’uomo  che sfrutta gli altri si  riconosce povero davanti a Dio e il Signore ascolta la sua preghiera» perché «nasce proprio dal cuore, è trasparente: mette davanti a Dio il cuore, non le  apparenze.  Pregare è lasciarsi guardare dentro da Dio, senza finzioni, senza scuse, senza giustificazioni». Il Papa ha sottolineato che «siamo un po’ pubblicani, perché peccatori, e un po’ farisei, perché presuntuosi, capaci di giustificare noi stessi, campioni nel giustificarci ad  arte! Con gli altri spesso funziona ma con Dio no. Con Dio il trucco non funziona. Preghiamo per chiedere la grazia di sentirci  bisognosi di misericordia, poveri dentro».

Infine, la preghiera del povero: «In questo Sinodo – ha detto Francesco – abbiamo avuto la grazia di ascoltare le voci dei poveri e di riflettere sulla precarietà delle loro vite, minacciate da modelli di  sviluppo predatori.  Eppure, proprio in questa situazione, molti ci hanno testimoniato che è possibile guardare la realtà in modo diverso, accogliendola a mani aperte come  un dono, abitando  il creato non come mezzo da sfruttare ma come  casa da custodire, confidando in Dio». Poi ha lamentato che troppe volte «anche nella Chiesa le voci dei poveri non sono ascoltate e magari vengono derise o messe a tacere  perché scomode. Preghiamo – ha concluso – per chiedere la grazia di saper ascoltare  il grido dei poveri: è  il grido di speranza  della Chiesa».

Più tardi, all’Angelus, il Papa ha ripreso quest’ultimo concetto parlando del Sinodo: «Il grido dei poveri, insieme a quello della terra, ci è giunto dall’Amazzonia. Dopo queste tre settimane non possiamo far finta di non averlo sentito. Le voci dei poveri, insieme a quelle di  tanti altri dentro e fuori dall’assemblea sinodale – pastori,  giovani, scienziati –  ci spingono a non rimanere indifferenti». Poi, commentando la seconda lettera di Paolo a Timoteo, ha aggiunto: «Chiediamoci: “Io, che cosa posso fare di buono per il Vangelo?” Nel Sinodo ce lo siamo chiesti, desiderosi di aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo. Si annuncia solo quel che si vive.  E per vivere di Gesù, per vivere  di Vangelo bisogna uscire da se stessi. Ci siamo sentiti allora spronati a prendere il  largo, a lasciare i lidi confortevoli dei nostri porti sicuri per addentrarci in acque profonde: non nelle  acque paludose delle ideologie ma  nel mare aperto in cui lo Spirito invita a gettare le reti». Infine, invocando l’aiuto di Maria “Regina dell’Amazzonia”, ha elogiato l’inculturazione: «Non c’è una cultura standard, non c’è una cultura pura, che purifica le altre; c’è il Vangelo, puro, che si incultura».

28 ottobre 2019