Il governo Meloni incassa la fiducia anche al Senato

115 i voti favorevoli, 79 contrari, 5 astenuti. Le “risposte” della leader di FdI all’Italia «senza visione»: dalla questione energetica al tetto al contante, su cui è già arrivata una proposta della Lega; dal cuneo fiscale ai fondi del Pnrr; dalla pace alla gestione del Covid

115 i voti favorevoli, 79 contrari, 5 astenuti. Nella giornata di ieri, 26 ottobre, il governo guidato da Giorgia Meloni incassa la fiducia anche dal Senato. «Manterremo gli impegni», assicura in serata la premier su Twitter, aggiungendo: «Subito al lavoro per rispondere alle urgenze dell’Italia». Urgenze passate in rassegna nei 49 minuti di intervento, tutto politico, a Palazzo Madama. La prima: la questione energetica, con l’obiettivo di non passare «dalla dipendenza dal gas russo a quella dalle materie prime cinesi». L’idea è quella di superare i blocchi della burocrazia, far ripartire le trivelle nell’Adriatico e trasformare il Sud «nell’hub energetico dell’Europa», evitando la corsa all’installazione dei rigassificatori, con «gravosi impatti sui territori.

Dopo le critiche per l’assenza della parola “pace” nel discorso programmatico pronunciato il giorno prima alla Camera dei deputati, la premier esprime le sue idee anche su questo capitolo, spiegando che non si ottiene «né con la resa di Kiev né con le bandiere arcobaleno» sventolate nelle piazze. Ed è la prima stoccata a quella fetta di opposizione che in piazza ci sarà il prossimo 5 novembre, per l’evento “Europe for peace”. La seconda – diretta soprattutto a M5S e Pd, arriva quando argomenta che nella lotta alla povertà il salario minimo rischio di restare uno «specchietto per le allodole», mentre la soluzione per contrastare il lavoro povero è «l’estensione dei contratti collettivi”, oltre al taglio del cuneo fiscale di 5 punti, per alzare tutti gli stipendi.

Ma è sul capitolo tasse che Meloni delinea una delle prime mosse «concrete» del suo esecutivo: oltre all’introduzione della «flat tax incrementale» – un riconoscimento «al merito» -, l’idea di «rimettere mano al tetto al contante» – che tra l’altro «penalizza i più poveri» -, su cui in mattinata era arrivata una proposta di legge delle Lega. Immediato il muro di Pd e M5S. La tesi del governo di centrodestra è che non c’è correlazione tra livello del contante ed evasione: un punto su cui la presidente del Consiglio chiama in causa direttamente i governi del Pd e l’ex ministro Pier Carlo Padoan, attribuendo a lui l’osservazione.

Replicando agli interventi dei senatori, la premier ribadisce con forza che l’essenza «della democrazia» è «il rispetto delle idee altrui», sottolinea di non essere stupita da un approccio «smaccatamente ideologico» – respingendo le accuse dell’ex magistrato Roberto Scarpinato (M5s) sul «depistaggio delle stragi neofasciste» e le «protezioni politiche» che impediscono di debellare la mafia – e non fa scoti nemmeno sui capitoli Pnrr e Covid. Sul primo, ricorda che i fondi spesi sono la metà: 21 miliardi su 42. Ora, assicura, l’esecutivo di centrodestra si caricherà «la grande responsabilità di velocizzare». Quanto alla pandemia, la premier contesta i governi – al plurale – che hanno adottato provvedimenti senza che ci fossero «evidenze scientifiche». E cita, su tutti, il via libera ai vaccini ai 12enni e «l’uscita di decine di detenuti dal 41 bis con la scusa del Covid». Una misura, quest’ultima, che ha rischiato di fiaccare la lotta alla mafia. Scelte «senza basi», le definisce, fatte sposando la scienza come se fosse «una religione».

In chiusura dell’intervento, l’appello alle opposizioni. «Chiedo coraggio e lealtà – le parole di Meloni -. Che si possa parlare nel merito, che non si facciano dibattito ideologici. Mi auguro che vogliate valutare i provvedimenti nel merito e valutare se votarli o meno».

27 ottobre 2022