Il Concilio Vaticano II a Roma e nel Lazio

Il punto sull’accoglienza e l’attuazione nel libro di don Pasquale Bua. Crociata, vice presidente dei vescovi della regione: «Volume che aiuta a comprendere l’identità e il cammino delle nostre Chiese»

Cosa ha rappresentato il Concilio Vaticano II per Roma e per le diocesi del Lazio? Come è stato recepito? Quanto è stato attuato e quanto c’è ancora da fare? A queste domande tenta di dare una risposta esaustiva basata su una approfondita ricerca storica il libro “Roma, il Lazio e il Vaticano II” curato da don Pasquale Bua (ed. Studium) che è stato presentato ieri, 12 giugno, nella sala Cardinale Poletti del Vicariato da monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina e vicepresidente della Conferenza episcopale del Lazio, dal vescovo emerito di Viterbo Lorenzo Chiarinelli e da Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Un’opera che, come ha detto  Crociata, «aiuta a comprendere l’identità e il cammino delle nostre Chiese» dopo un evento «che ha inaugurato una nuova era del cristianesimo. Non siamo più nella fase in cui il compito più urgente era dare attuazione alle disposizioni conciliari – ha aggiunto -. E sebbene se ne possano individuare alcune non ancora operative, la priorità è ora come dare forma alla Chiesa conciliare in un mondo in rapida e drammatica trasformazione come l’attuale. Tutti i Papi degli ultimi 50 anni hanno avuto come faro il Concilio; con Francesco arriva l’indicazione decisiva in ordine alle esigenze della fede e della Chiesa per un rinnovato annuncio del Vangelo e per la presa in carico dei fardelli dell’umanità di oggi».

Crociata, come pure Riccardi e Chiarinelli, hanno evidenziato da una parte la necessità di una «memoria storica», dall’altra la peculiarità del Lazio e del suo rapporto con la diocesi di Roma: «Occorre capire e scegliere quale Chiesa conciliare si vuole attuare in prospettiva», ha detto il vescovo di Latina. Serve una «nuova soggettività in cui si coniughino comunione e singolare responsabilità, piena adesione al successore di Pietro e lettura originale del proprio territorio». Un rapporto che è inevitabilmente segnato dal ruolo predominante di Roma, come ha evidenziato Riccardi, leggendo la definizione data da Bua del Lazio «sia pure un po’ severa: una “regione residuale somma delle aree che costituivano lo stato pontificio, introvabile e indefinibile”. La conoscenza storica – ha proseguito – è decisiva per capire il presente. La realtà è in movimento e spesso ci muoviamo a sensazioni e impressioni». Lo storico ha ricordato che «la Conferenza episcopale laziale arriva tardi, dopo il Concilio, nel 1967». Un rapporto molto diverso rispetto a quello che possono avere grandi Chiese metropolitane come Milano, Napoli o Palermo con il resto della loro regione. Riccardi ha anche definito la recezione del Concilio come «di popolo. Non arriva con lettere pastorali ma attraverso i media e ognuno si fa la sua sintesi». Ha quindi evidenziato lo straordinario rapporto dei romani con il Papa, da Pio XII a San Lorenzo e al bagno di folla radunata a San Pietro il giorno della Liberazione fino alle visite nelle parrocchie dei suoi successori e ha ricordato anche il celebre convegno del febbraio 1972 “sui mali di Roma”. Ma, ha sottolineato, «è una diocesi smemorata. Gli eventi del 1943-44 non sono mai ricordati. Roma non si è mai costruita una sua memoria storica».

Dal canto suo monsignor Chiarinelli ha ricordato che il libro di don Bua è «una testimonianza del cammino conciliare, con le luci e le ombre. Se curiamo la memoria possiamo cogliere il cuore della Chiesa del Lazio»; quindi si è soffermato sulla necessità di curare la memoria «senza la quale non facciamo alcun passo» ma anche la «provocazione, che potremmo intendere come “l’uscita” di Papa Francesco, in senso biblico. L’esperienza conciliare contiene questi due elementi, ricognizione e cammino». Ancora, è intervenuto sul ruolo delle diocesi laziali, sulla storia dei loro accorpamenti e sulla nascita della Conferenza episcopale laziale. Se Giovanni XXIII nel 1962 diede il titolo di diocesani ai vescovi ausiliari delle suburbicarie, Paolo VI, ricevendo gli ordinari della regione parlò di «anelli concentrici. Non separa Roma dalle Chiese del Lazio, definite fucina di verifica» e dandogli il «ruolo di pilota di fronte alle Chiese del mondo». Il cardinale vicario Poletti ribadì poi la «vocazione all’esemplarità della Chiesa di Roma e del Lazio». Il «vissuto ecclesiale – ha concluso Chiarinelli – è più conciliare delle realtà istituzionali. È un dato comune a tutte le diocesi laziali, il che vuol dire che il tessuto sociale ha accolto il messaggio del Concilio con adeguamenti di comportamenti globali più che con formulazioni teoriche».

13 giugno 2019