Il carcere raccontato da padre Trani

Cappellano penitenziario da 50 anni, il francescano “restituisce” storie e volti incontrati prima a Rebibbia poi a Regina Coeli nel libro scritto con Natoli e Pellegrini

Una persona che ha violato la legge e finisce in carcere non deve perdere la dignità di essere umano. «È necessario avere un volto più tenero e più bello verso la realtà carceraria». Ad auspicarlo è stato padre Vittorio Trani, francescano conventuale, da cinquant’anni cappellano penitenziario. Dal 1972 al 1974 ha svolto il suo ministero a Rebibbia; dal 1978 è nella casa circondariale di Regina Coeli. La sua esperienza pastorale, le sue riflessioni sulle misure alternative e sull’importanza della rieducazione, sui diritti dei carcerati e sul senso della pena, sono racchiuse nel libro “Come è in cielo, così sia in terra. Il carcere tra giustizia, perdono e misericordia”, edito dalle Paoline, presentato venerdì 11 novembre nella Sala del Refettorio di Palazzo Venezia.

Agnese Pellegrini e Stefano Natoli, presentazione libro padre Vittorio Trani
Agnese Pellegrini e Stefano Natoli

In dieci capitoli, dialogando con i giornalisti Stefano Natoli e Agnese Pellegrini, racconta alcune storie dei 250mila detenuti accompagnati in mezzo secolo. «Volti e nomi, storie e paure in queste pagine si susseguono – scrive nella prefazione il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano -. Sembra quasi di vederli, questi detenuti, con i loro sbagli, i loro errori, ma anche con la loro voglia di ricominciare, di tornare a sperare». Non solo aneddoti: nelle pagine viene anche «dato risalto a ciò che non va, agli aspetti da rivedere» ha affermato padre Trani durante la presentazione, sottolineando che per esempio bisogna puntare sulle misure alternative e sulla rieducazione del detenuto anche in vista di un reinserimento nel mondo del lavoro una volta scontata la pena. «Bisogna ritrovare il buon senso – ha aggiunto -, bisogna trovare soluzioni  alle tante questioni farraginose ma senza fare polemica, che è la cosa più stupida».

Il suo ministero da cappellano penitenziario, ha spiegato padre Trani, è iniziato per obbedienza al suo superiore ma oggi «la verità è che in questi cinquant’anni sono stato felice», scrive nel libro. Ed è per questo che durante l’incontro, moderato dal direttore di Tv2000 Vincenzo Morgante, ha colto l’occasione per dire ai suoi confratelli che quella del cappellano «è un’esperienza arricchente, straordinaria che permette al sacerdote di approfondire la realtà umana».

Don Antonio Rizzolo, direttore generale dell’apostolato della Società San Paolo in Italia, che firma la postfazione, dati alla mano ha ribadito che l’attuale realtà carceraria «non funziona e bisogna concentrarsi sulla giustizia riparativa». Citando i dati di un recente rapporto dell’associazione Antigone ha ricordato che solo il 38% dei detenuti è al suo primo ingresso in carcere, il restante 62% è stato recluso almeno un’altra volta, di questi il 18% cinque o più volte. Bisogna cambiare rotta perché «il carcere è lo specchio di una società e oggi lo specchio non ci mostra una bella immagine».

padre Francesco Occhetta, presentazione libro padre Vittorio Trani, 11 novembre 2022
padre Francesco Occhetta

Nelle oltre 200 pagine del libro, per padre Francesco Occhetta, docente alla Pontificia Università Gregoriana, emerge anche «un volto bello di Chiesa», un racconto che porta a «fare contemplazione» e che insegna «la forza dell’incontro». Un testo che consiglia di «far leggere agli studenti universitari» perché è «luce nelle tenebre di un mondo dimenticato». La giornalista Agnese Pellegrini da sei anni è volontaria in carcere, prima nella Casa di reclusione di Milano-Opera e ora a Regina Coeli. Soffermandosi sul «diritto alla dignità» dei carcerati ha parlato di «un mondo che non si aspettava», dove la realtà di quello che vivono i reclusi rimane intrappolata tra le sbarre «e non viene mai raccontata all’esterno.  Non si dice mai che nelle celle ad agosto si superano i 40 gradi, che non ci sono condizionatori, che spesso le docce d’inverno non hanno l’acqua calda, che i detenuti con malattie psichiatriche non hanno adeguate terapie e che i tossicodipendenti, i quali dovrebbero seguire un processo di disintossicazione, vengono invece abbandonati». Situazioni che fanno risaltare come «il nostro Paese è incivile – ha aggiunto Stefano Natoli, volontario al Milano-Opera e membro dell’associazione Nessuno Tocchi Caino -. Togliere ai detenuti ogni diritto è da incivili. Tutti possiamo sbagliare ma questo non significa che la propria vita debba essere annullata».

14 novembre 2022