La lista delle emergenze è lunga: la fornitura di acqua, di energia elettrica, la sistemazione delle strade, di ospedali, scuole e luoghi di culto. Secondo le stime fornite dal patriarcato caldeo, ogni abitazione avrebbe bisogno per la risistemazione di 3mila dollari, in aggiunta alla cifra che la Chiesa e il governo hanno già messo a disposizione. 500 milioni di dollari iracheni: questa la somma stanziata finora dalla Chiesa caldea. Di qui i ripetuti appelli del patriarca alle autorità e ai leader internazionali perché si proceda davvero a un’opera di ricostruzione in una prospettiva di unità e pluralismo fra le diverse anime che popolano la regione.

Intanto le pagine web del patriarcato riportano un elenco delle cittadine della Piana di Ninive liberate dall’esercito iracheno (Qaraqosh, Karamleis, Bartella e Tilkeif) e di quelle liberate dai Peshmerga curdi (Teleskuf, Batnaya, Baqofa). Secondo un censimento del 1987, in Iraq c’erano all’epoca 1,264 milioni di cristiani; oggi sono poco meno di 500mila. In particolare, a Mosul e nella Piana prima dell’ascesa dello Stato islamico si contavano circa 130mila fedeli; oggi sono diventati meno di 90mila, di cui 40mila hanno lasciato l’area in seguito a persecuzioni e dislocamento.

I caldei che hanno assicurato di voler fare ritorno nella Piana di Ninive sono, si stima, l’80%. Per la loro sicurezza, affermano dal patriarcato, è necessaria la vigilanza delle forze che hanno liberato le città della Piana, con il sostegno di guardie cristiane, e la presenza di osservatori internazionali, Ue e Onu, come accade a Baghdad e a Erbil.

2 febbraio 2017