L’identità “di mezzo” dell’adolescente immigrato

l contesto migliore per agevolare l’integrazione è la scuola, luogo privilegiato di socializzazione. L’esperienza di Abraham, guineiano ventunenne

Gli ultimi dati relativi ai flussi migratori in Italia evidenziano un incremento considerevole di una giovane popolazione straniera dovuto sia all’aumento dei nati da genitori stranieri su territorio italiano sia da coloro, che, per lo più in età adolescenziale, si spostano lasciando il proprio paese per ricongiungersi ai genitori o a parte della famiglia, la quale precedentemente aveva avviato un progetto di vita nel contesto italiano.

Per molti di questi ragazzi il percorso
d’inserimento nella nuova realtà è estremamente complesso, soprattutto per la mancanza di modelli di identificazione forti. Infatti, la famiglia è, nel caso di questi ragazzi, un modello identitario fragile in quanto trasmette valori e tradizioni talvolta lontani da quelli presenti nel contesto di vita quotidiano. Gli stessi tratti tipici della cultura d’origine possono essere addirittura denigrati o criticati dai coetanei che li considerano assurdi, retrogradi o pericolosi.

Un altro ostacolo è la mancanza di punti
di riferimento esterni che funzionino come guida nel processo d’inclusione nel nuovo contesto sociale. Questo aspetto, generalmente delegato all’interno della famiglia, non trova esistenza in realtà migratorie in quanto i genitori stessi sono spesso incapaci a muoversi con disinvoltura nel Paese d’accoglienza, talvolta non riuscendo a rappresentare un riferimento per i figli. Quest’ultimi spesso divengono i loro principali mediatori linguistici con la scuola o le istituzioni. Il contesto migliore per agevolare l’inserimento e l’integrazione del giovane immigrato è proprio la scuola, luogo privilegiato per la socializzazione e per generare, sotto il profilo ambientale e culturale, un clima di convivenza in una società multietnica.

Per Abraham, un ragazzo guineiano di 21 anni, giunto in Italia quando ne aveva 14 insieme con i genitori, la scuola è stato il luogo dell’incontro con la nuova realtà. Brillante, determinato crede che lo studio sia la strada per riscattare la sua condizione e quella di tutta la famiglia. Il padre invece fatica a integrarsi nel nuovo contesto e ha difficoltà a provvedere al loro sostentamento; la madre, rimasta con la testa ed il cuore nella terra d’origine, è sempre più risentita verso il coniuge che accusa di averli trascinati lungo una strada senza ritorno. Abraham, nei primi due anni, recupera per intero le medie inferiori e s’iscrive ad un istituto di meccanica industriale. Gradualmente si immerge nella nuova realtà, inizia a frequentare un corso di boxe e comincia a vedersi con alcuni ragazzi anche fuori dall’orario scolastico. Impara perfettamente l’italiano ed è lui ad interessarsi per i genitori rispetto a tutte le questioni che riguardano il loro soggiorno in Italia, diventando sempre più il nuovo punto di riferimento, l’unico in grado di orientarsi e traghettare tutti tra i flutti del “nuovo mondo”.

La fatica di questo ruolo e la mancanza di sostegno esterno gli fa ben presto sperimentare sentimenti ambivalenti: la pressione avvertita in famiglia si trasforma ben presto in risentimento verso i genitori i quali lo vorrebbero dottore o ingegnere ma non sembrano in grado di sostenerlo lungo il percorso scolastico. L’ostilità che prova per loro gli fa rifiutare tutto ciò che li rappresenta, a cominciare dalle loro tradizioni e dalla sua lingua madre. Così, il fatto che ognuno in casa parli nel proprio dialetto aumenta la confusione e le occasioni di fraintendimento.

Parallelamente Abraham comincia a vestirsi e comportarsi sempre più “all’italiana”: ha alcuni amici romani, ma la verità è che per lui sono anch’essi lontani dal suo mondo e non è semplice riuscire a condividere con loro ciò che vive e come vive; è estraneo all’Italia e ormai anche al suo Paese. Preso come in mezzo a due mondi vive un conflitto interiore comune a molti suoi coetanei provenienti da contesti migratori. L’appartenenza a realtà sociali e culturali diverse, talvolta in contrasto, obbliga questi ragazzi a costruire la loro identità in un processo dialogico non scontato che si alimenta del costante confronto con l’esterno. L’immigrato che costruisce la sua identità in un nuovo Paese si trova al centro di una sorta di terra di nessuno in cui “manca il posto dove poter mettere quello che si trova” (Winnicott). È “sospeso tra due mondi”.

Costruire luoghi positivi e di scambio tra le diverse culture può aiutare a ridurre la distanza e a favorire un’integrazione. Per Abraham l’occasione è stata l’iscrizione ad un corso di teatro in cui ha sperimentato, per la prima volta, la sensazione di far parte di un gruppo, di una dimensione corale in cui il suo “essere diverso” è una ricchezza per gli altri e funge da ponte. Per altri ragazzi questo può avvenire a scuola, nello sport o in altri spazi informali, ma è importante tenere comunque conto e accettare che alla fine, nonostante gli sforzi, l’integrazione possa rimanere parziale (Andrea Bianchi – Psicoterapeuta)

 

13 ottobre 2017