Iannone: san Francesco, «un cuore assorto nell’amore di Cristo»

La celebrazione per il transito del santo presieduta dal vicegerente nella basilica di San Giovanni in Laterano. La processione verso la statua in piazza di Porta San Giovanni, con l’omaggio floreale dei bambini

Il 3 ottobre 1226 Francesco d’Assisi affrontava con gioia il suo transito dal tempo all’eternità, chiudendo gli occhi nella piccola chiesa della Porziuncola, dove spesso si ritirava in preghiera e dove aveva scoperto la sua vocazione a «vivere secondo il Santo Vangelo». Vi era tornato appena saputo dal padre guardiano di avere poco tempo per vivere. Negli ultimi momenti, aveva chiesto di essere deposto “nudo sulla nuda terra”, così come aveva vissuto. E poco prima di incontrare “sorella morte”, «dalla quale nullu homo vivente può skappare», il santo Scalzo compose l’ultimo canto: «Vieni dolce morte, vieni qui da me…». Lo ha ricordato ieri, 3 settembre, il superiore del Collegio dei penitenzieri in Laterano, dell’ordine dei frati minori, a conclusione della solenne celebrazione eucaristica per il transito di San Francesco presieduta dall’arcivescovo vicegerente della diocesi di Roma monsignor Filippo Iannone.

«Io ho fatto la mia parte, Cristo vi insegni a fare la vostra», furono le ultime parole del santo, proclamato patrono d’Italia, insieme a santa Caterina da Siena, da Papa Pio XII. «Vogliamo guardare a Francesco come maestro di fede dalla cattedra della sua vita», ha detto nell’omelia monsignor Iannone. «La fede è fare esperienza di Gesù. È un cammino per conoscere Gesù sempre più profondamente, amarlo sempre più intensamente, e seguirlo». L’esempio di san Francesco è segnato dalla «fede come abbandono a Dio, in un legame personalissimo con Lui». E le sue Lodi all’Altissimo, dopo l’esperienza delle Stigmate, sono l’espressione di «un cuore assorto nell’Amore di Cristo», un «cuore innamorato, in modo da percepire con uno sguardo sempre nuovo le meraviglie di Cristo nella sua vita».

Per l’arcivescovo, la fede si compendia in «due parole: conversione e sequela». Amare Gesù non risparmia dolori e fatiche, e neppure il Poverello di Dio ne fu esente. «La fede non gli risparmiò momenti difficili, soprattutto negli ultimi anni». Ma ciò che san Francesco ci ha insegnato è che «anche nella notte più buia non possiamo dimenticare che Dio è con noi». Siamo chiamati a «fidarci di lui e riconoscerlo come il Tutto nella nostra vita. È la memoria di questa presenza che farà fiorire la speranza e la fiducia nella nostra esistenza». Come San Francesco, ha detto ancora Iannone, siamo chiamati a «sollevare gli occhi dal contingente per alzare lo sguardo a lui». Soprattutto in questo tempo di «crisi antropologica», come l’ha definita Benedetto XVI. Un tempo in cui «la crisi della fede ha raggiunto molte persone e, soprattutto, tanti giovani. Anche tra coloro che si dicono cristiani, la fiamma della fede rischia di spegnersi». Dunque, l’invito a tutti credenti a rivolgere a Gesù una preghiera: «Signore, fa’ crescere la mia povera fede».

A conclusione della celebrazione eucaristica, l’arcivescovo ha impartito la benedizione all’assemblea dei fedeli con l’ostensione delle reliquie del saio di san Francesco, custodite nella basilica, dove si era recato due volte per chiedere al Papa (prima Innocenzo III, poi Onorio III), l’approvazione della Regola dell’ordine francescano. In processione, con l’accompagnamento della banda musicale della Gendarmeria vaticana guidata dal maestro Giuseppe Cimini, e del coro della Cappella musicale lateranense con il maestro Roberto Santi, l’assemblea dei fedeli con il Capitolo Lateranense si è recata sulla piazza di Porta San Giovanni, dove si trova il monumento a San Francesco d’Assisi, realizzato dallo scultore Giuseppe Tonnini e inaugurato nel settimo centenario dalla morte del Santo. Qui i bambini della parrocchia di Sant’Anselmo alla Cecchignola hanno portato in omaggio una corona floreale.

4 ottobre 2017