I vescovi italiani: «Troppi morti sul lavoro»

Pubblicato il messaggio della Cei per la festa dei lavoratori, il prossimo 1° maggio. Il titolo: “La vera ricchezza sono le persone”. «Ancora insufficiente e inadeguata la promozione della donna»

«La vera ricchezza sono le persone». Prendono a prestito le parole di Papa Francesco all’Associazione nazionale costruttori edili il 20 gennaio scorso, i vescovi italiani, per dare il tema al messaggio per la festa dei lavoratori, il prossimo 1° maggio.  Una riflessione “Dal dramma delle morti sul lavoro alla cultura della cura”, come recita la seconda parte del titolo, che reca la data del 19 marzo, solennità di san Giuseppe. «Viviamo una stagione complessa, segnata ancora dagli effetti della pandemia e dalla guerra in Ucraina, in cui il lavoro continua a preoccupare la società civile e le famiglie, e impegna a un discernimento che si traduca in proposte di solidarietà e di tutela delle situazioni di maggiore precarietà», scrivono i vescovi della Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Una crisi economica le cui conseguenza gravano «sulle spalle dei giovani, delle donne, dei disoccupati, dei precari, in un contesto in cui alle difficoltà strutturali si aggiunge un peggioramento della qualità del lavoro. La Chiesa che è in Italia – osservano – non può distogliere lo sguardo dai contesti di elevato rischio per la salute e per la stessa vita alle quali sono esposti tanti lavoratori. I tanti, troppi, morti sul lavoro ce lo ricordano ogni giorno. È in discussione il valore dell’umano, l’unico capitale che sia vera ricchezza», asseriscono.

Il pensiero va anzitutto a «chi ha perso la vita nel compimento di una professione che costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della sua creatività», e alle «famiglie che non hanno visto far ritorno a casa chi, con il proprio lavoro, le sosteneva amorevolmente». Allo stesso modo, «non possono essere dimenticati tutti coloro che sono rimasti all’improvviso disoccupati e, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita». Nell’analisi dei presuli, «un Paese che cerca di risalire positivamente la china della crisi non può fondare la propria crescita economica sul quotidiano sacrificio di vite umane». E citano i “numeri” che raccontano lo scenario relativo al 2021: 1.221 i morti – «dati Inail» -, senza contare quelli legati al mondo del sommerso e del lavoro nero. «Siamo di fronte a un moderno idolo che continua a pretendere un intollerabile tributo di lacrime». Tra i settori più colpiti, l’industria, i servizi, l’edilizia e l’agricoltura. Ma «non ci sono solo le morti: gli infortuni di diverse gravità esigono un’attenzione adeguata, così come le malattie professionali domandano tutela della salute e sicurezza». E ancora, «la nostra coscienza è interpellata anche da quanti sono impegnati in lavori irregolari o svolti in condizioni non dignitose, a causa di sfruttamento, discriminazioni,  caporalato, mancati diritti, ineguaglianze. Il grido di questi nuovi poveri – scrivono – sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una violenza di natura economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli immigrati, lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un sistema che disincentiva la maternità e “punisce” la gravidanza col licenziamento». I vescovi lo ribadiscono con forza: «È ancora insufficiente e inadeguata la promozione della donna nell’ambito professionale». Un impegno, questo, nel quale indicano come figura di riferimento quella di Armida Barelli, beatificata il 30 aprile a Milano.

«In tutte queste situazioni non solo il lavoro non è libero, né creativo, partecipativo e solidale (cfr Evangelii gaudium 192), ma la persona vive nel costante rischio di vedere minata  irrimediabilmente la sua salute e messa in pericolo la sua stessa esistenza». Tra le cause delle “morti bianche”, anche le «falle consistenti» del mercato del lavoro. A iniziare dalla «crescente precarizzazione». Spesso inoltre, osservano i vescovi, «le mansioni più pericolose sono affidate a cooperative di servizi, con personale mal retribuito, poco formato, assunto con contratti di breve durata, costretto a operare con ritmi e carichi di lavoro inadeguati, in una combinazione rovinosa che potenzia il rischio di errori fatali». In gioco, in queste situazioni, c’è anzitutto «il valore soggettivo e personale del lavoro», vale a dire il «capitale umano», spiegano i presuli citando la Dottrina sociale della Chiesa. Ma anche la complementarietà tra lavoro e capitale e il bene della pace, perché «quando ci sono le condizioni di un lavoro sicuro e dignitoso, si pongono le basi per evitare ogni forma di conflittualità sociale», ancora le parole di Francesco citate nel messaggio.

Da questi valori scaturisce «una cultura della cura, nutrita dalla Parola di Dio, che invita ad aprire il nostro cuore a chi nel lavoro vede messa a rischio la dignità e la propria vita». Papa Francesco  indica un preciso compito educativo e di tutela dei più deboli nel mondo del lavoro, che impegna la società civile e la comunità cristiana. Non solo: nell’analisi dei vescovi, «la complessità delle cause e degli eventi richiede un approccio «integrale» da parte di tutti i soggetti in campo: vanno realizzati interventi di sistema sia a carattere statale, sia a livello aziendale». E ancora, «è fondamentale investire sulla ricerca e sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche inserire nei programmi scolastici e di formazione professionale la disciplina relativa alla salute e alla sicurezza nel lavoro. È importante che lo Stato metta in atto controlli più attenti, che diventino uno stimolo alla prevenzione degli infortuni», si legge ancora nel messaggio. E anche le modalità di organizzazione dell’impresa giocano un «ruolo decisivo» nella tutela della sicurezza del lavoratore, come ricordava Francesco agli imprenditori, nel 2016. Ai sindacati, dall’altra parte, i vescovi ricordano l’impegno «a tutela soprattutto delle professioni che risultano più logoranti per la salute o maggiormente esposte a rischio». Coniugando difesa dell’ambiente e protezione del lavoro, dignità e sicurezza. «Solo se ogni attore della prevenzione, a diverso titolo – a partire dalle istituzioni e dalle parti sociali – contribuisce al contrasto degli eventi infortunistici, si avrà una vera svolta. Per questo è necessario risvegliare le coscienze. Grazie a un’assunzione di responsabilità collettiva si può attuare quel cambiamento capace di riportare al centro del lavoro la persona, in ogni contesto produttivo», è la conclusione dei presuli.

29 marzo 2022