I sacerdoti, tra formazione e cura della comunità

Al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II la giornata di studi “Curare le ferite del buon samaritano”. Il rischio del burn-out per i preti tra i 40 e i 49 anni

La “Chiesa in uscita” di Papa Francesco è quella che si muove verso l’altro, in suo aiuto, ma ha allo stesso tempo «bisogno di curare e rinforzare se stessa e i suoi ministri». Su questi temi si è sviluppata ieri, 27 maggio, la giornata di studi “Curare le ferite del buon samaritano” che ha avuto luogo nell’auditorium del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II di piazza di San Giovanni in Laternano, promotore dell’iniziativa.

«Il focus proposto alla riflessione – ha detto nel suo saluto di accoglienza monsignor Pierangelo Sequeri, preside dell’Istituto teologico per le Scienze sul matrimonio e la famiglia – è molto attuale perché oggi risulta fondamentale per il ministro rinsaldare primariamente la relazione con la sua comunità, il cui apporto diventa strategico e indispensabile ma va guadagnato: non può essere un imperativo». Anche il vescovo ausiliare Daniele Libanori, rettore della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, “casa” dei preti di Roma e delegato per il clero e i seminari, aprendo i lavori ha evidenziato come il tema «meriti la più grande attenzione perché tante sono le difficoltà che accompagnano il ministero sacerdotale, soprattutto quando sia esposto alla fatica e al logoramento». Spesso «l’accompagnamento spirituale non basta, per la complessità di certe situazioni – ha detto ancora il presule – ed è necessario integrarlo con il contributo delle scienze umane, al fine di generare una “nuova sapienza”: attraverso strade umane Dio interviene con la sua Provvidenza» affinché si possano riconoscere «le fragilità non solo come il luogo della disperazione ma anche dell’incontro autentico con il Padre che ascolta il grido di dolore dei suoi figli».

Della sindrome del burn-out nella realtà sacerdotale ha trattato don Roberto Almada, psichiatra, presentandone in primo luogo i tre tratti caratteristici: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e bassa relazione personale. «L’ansia per il carico di lavoro eccessivo o mal ripartito può condurre ad una autoreferenzialità e al conseguente isolamento – ha affermato l’esperto -, rompendo l’equilibrio tra l’oggettivazione del compito e il senso profondo del ruolo e portando a un’esecuzione formale che distanzia dalla relazione con la comunità», non più riconosciuta come «alleata o di sostegno ma “nemica” nel suo essere percepita responsabile del proprio esaurimento». Le cause del burn-out, che interessa maggiormente la fascia di età tra i 40 e i 49 anni – «la fase della metà della vita e quindi della possibile crisi» – vanno ricercate «nell’educazione affettiva ricevuta così come nel contesto culturale di provenienza – ha spiegato ancora Almada -; nel sovraccarico di lavoro e responsabilità richieste dall’istituzione e in relazioni interpersonali sul lavoro caratterizzate da sentimenti di invidia o competitività». Cause personali, quindi, ma anche cause istituzionali di cui «la Chiesa, in questo caso, deve tenere conto»: ambiguità e confusione nella distribuzione dei compiti e dei ruoli, richieste non realistiche, stili autoritari e assenza di riconoscimento della persona. Possibili risorse sono «la cura di sé, sia fisica che spirituale – ha concluso Almada -, ma anche una relazione sistemica tra sacerdoti e vescovo».

Nella seconda parte della mattinata, Luca Marelli, presidente dell’associazione “Puri di cuore”, ha portato la sua testimonianza in merito alla dipendenza da pornografia di cui nel mondo soffrono più di 4 milioni di persone. «Ho trovato la guarigione spirituale e fisica dalla lussuria in sede di confessione, facendo l’esperienza della Grazia – ha raccontato -, quando mi sono sentito accolto e capito ma anche indirizzato dal sacerdote». Per questo ha indicato guide e sussidi utili per i sacerdoti nell’accompagnamento di persone che «orientano male un appetito sano».

Affidate al vescovo Libanori le conclusioni della mattinata: «Il ministero è legato all’esperienza della liberazione – ha affermato -: che Dio mi ha liberato dall’Egitto è un fatto esistenziale per me sacerdote». Per questo «la primaria guarigione del presbitero è sostanziale, dato che solo vivendo libero da comportamenti compulsivi è capace di vero annuncio, che è altra cosa dalla semplice comunicazione di fatti». Nel pomeriggio poi i lavori sono proseguiti a porte chiuse con testimonianze riservate per il clero e la presentazione del modello di auto-aiuto dei 12 passi, a cura di Alberto Corteggiani, segretario del Tavolo dei 12 passi presso il Centro per la pastorale familiare della diocesi di Ancona. Ancora, l’intervento di padre Victor De Luna, sacerdote e psicologo, sull’accompagnamento delle persone con attrazione per lo stesso sesso.

28 maggio 2019