I migranti morti nei viaggi verso l’Europa e il «naufragio di umanità»

Presieduta dal cardinale Parolin la veglia "Morire di speranza" organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio, a cui hanno aderito, tra gli altri, Caritas, Fondazione Migrantes, Centro Astalli e "Papa Giovanni XXIII". «Non possiamo alzare muri partitici che condannano i migranti alla morte»

«Non si può morire di speranza. Non possiamo rimanere inermi davanti a quanto accade nel Mediterraneo, il cimitero più grande d’Europa». Con queste parole, riprese dall’Angelus di Papa Francesco di domenica 13 giugno, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha introdotto ieri sera, 15 giugno,  la veglia di preghiera “Morire di speranza”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio per ricordare le migliaia di morti nel tentativo di raggiungere l’Europa, nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Numerose le realtà coinvolte: dalla Caritas al Centro Astalli, per continuare con Fondazione Migrantes, Federazione Chiese evangeliche in Italia, Scalabrini Migration International Network, Acli, Comunità Papa Giovanni XXIII e Acse.

Nella serata di preghiera sono state ricordate le 43.390 persone morte, senza contare i dispersi, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte verso l’Europa. Un conteggio drammatico, che si è ulteriormente aggravato nell’ultimo anno, nel quale oltre 4mila persone hanno perso in viaggio verso il nostro continente. «Le tragedie dei migranti morti – ha affermato Parolin – da anni bussano alle porte di casa nostra e  della nostra coscienza». Secondo il segretario di Stato vaticano, «la crisi attuale rischia di degenerare in un naufragio di umanità. Il Mediterraneo – ha sottolineato – per secoli è stato luogo di incontro di civiltà lontane ma ora diventa posto di disumanità, indifferenza e il nome dato dai Romani, “mare nostrum”, si trasforma in “mare mortum”». Dal punto di vista politico e sociale, per il porporato, «è inconcepibile svegliarci solo quando la cronaca ci fa vedere immagini choccanti di bambini morti. Non possiamo alzare muri partitici che condannano i migranti alla morte. Anziché da convinzioni politiche, dobbiamo farci guidare dalla parola spiazzante del Vangelo che ci chiede di aiutare il prossimo».

Nelle parole del vescovo Benoni Ambarus,  direttore della Caritas diocesana di Roma e delegato diocesano alla carità e alla pastorale dei migranti, «dover ricordare un numero così alto di migranti morti significa avere vergogna in noi stessi. Dobbiamo impegnarci per aiutare i nostri fratelli e sorelle che scappano, affinché abbiano realmente la speranza di arrivare sani e salvi a una vita più sicura». Il primo passo, ha sottolineato monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes diocesano, è «mettere l’opinione pubblica a conoscenza di quanto accade», con iniziative come quella di ieri sera, ha rimarcato: «Non tramite slogan ma facendo capire il dramma di chi muore per raggiungere una vita migliore». Nello stile di una solidarietà diffusa, che «deve avere tutta l’Europa, nell’accogliere chi soffre senza lasciare soli i Paesi di prima accoglienza».

Una prima accoglienza che migliaia di profughi trovano nelle periferie d’Europa, dove è presente anche la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Questa veglia per noi significa non sentirsi soli ed essere uniti per un unico obiettivo», ha spiegato Enkolima Shqau, operatrice antitratta della realtà fondata da don Oreste Benzi. Attualmente, ha raccontato, «siamo presenti con una casa famiglia in Grecia, a Lesbo, e da poco anche in Libano per accogliere i profughi, quindi ogni giorno ci confrontiamo con situazione drammatiche al limite dell’umanità. Cerchiamo di stare accanto a tutti e dare speranza anche a chi sembra averla persa per sempre».

A tirare le somme, il presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo. «Insieme – ha detto – possiamo e dobbiamo fare tanto, in primis per trattare i migranti non come numeri ma come persone. Oggi ci siamo “fermati” per ricordare questi morti ma è un momento di stasi che vuole essere un grido, per l’Italia e per l’Europa, e dunque una richiesta formale affinché si aprano sempre di più vie legali per le migrazioni e corridori umanitari. Queste persone non sono un pericolo ma sono in pericolo e abbiamo il dovere morale di fare qualcosa».

16 giugno 2021