I giovani italiani sempre più social… disoccupati

Al convegno dell’Università Cattolica l’identikit della nuova generazione pronta a lasciare l’Italia: «Vorrebbero mettersi in gioco ma sono tenuti ai margini»

Pronti a lasciare l’Italia per vivere all’estero, sempre più social ma sempre più senza lavoro. Ecco il profilo dei giovani italiani, tracciato con numeri e statistiche durante il convegno organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore oggi, martedì 12 settembre, in funzione del prossimo Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani. A parlarne sono stati esperti e docenti universitari. Alessandro Rosina, demografo e curatore del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, ha individuato il momento in cui le condizioni del mondo giovanile sono peggiorate. «Dagli anni 80 teniamo i nostri giovani fermi in difesa. Anche la crisi economica ha contribuito alla loro permanenza in famiglia».

Un periodo dilatato dalle difficoltà
a trovare un lavoro, che hanno favorito la crescita del numero di Neet, coloro che non studiano e non lavorano. Secondo i dati Ocse, in Italia lo è un ragazzo su quattro. È cresciuto anche il numero dei giovani che, secondo lo studio dell’Istituto Toniolo, si dicono pronti a trasferirsi all’estero: oltre il 60% degli intervistati. «Noi stiamo sprecando i giovani rispetto alla loro volontà di sentirsi valore sociale e impegnarsi per il bene comune», ha spiegato il demografo che ha indicato anche i loro timori. Per il 73% la preoccupazione maggiore deriva dallo spostamento in avanti dell’età pensionabile. «Il rischio – ha avvertito Rosina – è che le nuove generazioni si trovino schiacciate verso il basso da scelte che continuano a privilegiare le generazioni adulte».

Ne è conseguenza il fatto che «mentre l’occupazione over 55 sta crescendo rispetto alla media europea, quella degli under 30 sta rimanendo strutturalmente bassa». Un riflesso di questa tendenza si avverte nella percezione che i giovani hanno dell’occupazione, che «non viene più vista dalla maggior parte dei ragazzi come modalità di autorealizzazione ma come opportunità per disporre di uno stipendio dignitoso». Eppure le loro aspirazioni vanno in direzione opposta: «Vorrebbero mettersi in gioco, sentirsi attivi, conquistare il centro della scena e quanto valgono – ha spiegato Rosina -. Bisogna quindi ribaltare il quadro; non parlare più di giovani come emergenza ma dare loro strumenti per realizzare questa aspirazione a essere produttori di bene sociale».

I ragazzi ormai non possono fare a meno delle nuove tecnologie e dei canali di comunicazione digitale, sentieri percorsi da quasi il 70% degli studenti dell’Università Cattolica. Un profilo sempre più social per loro che incide anche sulle relazioni. «Si ritiene che i social introducano frantumazione all’interno delle relazioni familiari, ma le ricerche dimostrano che spesso è vero il contrario – ha spiegato Pier Cesare Rivoltella, direttore del Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia dell’università -. Attraverso i social media molti genitori e figli riescono a comunicare, anzi questi strumenti aiutano a creare complicità che è l’anticamera di una relazione che il genitore può ricostruire».

C’è però un rischio da evitare. «Essere
social significa avere la possibilità di essere informati ed emotivamente coinvolti con la sofferenza su scala planetaria. Spesso, però, questo produce sentimenti di solidarietà leggera e a bassa partecipazione senza spendersi in prima persona. Forte è il rischio che si riduca a un like o a un commento».

 

12 settembre 2017